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venerdì 21 agosto 2009

Offshore - Onshore

Di Marco Bodellini, su La Tribuna Sammarinese

Da mesi assistiamo a continui attacchi provenienti dall’Italia nei confronti di San Marino, come se quest’ultimo rappresentasse la causa del problema dell’evasione fiscale italiana (in Italia, si stimano oltre 110 miliardi di euro di evasione fiscale all’anno) o il luogo in cui sono custoditi i capitali italiani esportati all’estero (i capitali italiani all’estero sarebbero stimat in circa 550 miliardi di euro).
Posto che, se non altro per dimensioni, San Marino non può essere “il problema italiano” come da mesi si tenta di fare credere, mi chiedo quali benefici possa ottenere l’Italia da un rapporto così tumultuoso col proprio “vicino di casa”? Gli errori fatti da San Marino in passato sono innegabili, ma altrettanto evidenti e significativi sono gli sforzi da esso compiuti in tutti i settori per conformarsi alle richieste internazionali, del Moneyval e del G20 su tutte.

Sono fermamente convinto che se l’Italia considerasse San Marino come una risorsa e non più come il suo principale problema sarebbe la prima a trarne benefici economici e politici, benefici probabilmente molto maggiori anche degli effetti dello stesso scudo fiscale.
Le mie considerazioni devono necessariamente trarre origine da alcune condivisibili riflessioni già elaborate dallo Studio Ambrosetti in occasione del San Marino Forum; secondo tali riflessioni la più parte della ricchezza sammarinese è veicolata, necessariamente, verso la vicina Italia attraverso gli investimenti delle imprese locali in quello che spesso è uno dei mercati di riferimento, attraverso i consumi delle famiglie sammarinesi, e più in generale dei sammarinesi, in Italia, perlopiù nelle provincie confinanti di Rimini e Pesaro, poi ancora, attraverso il pagamento degli stipendi degli oltre 7.000 lavoratori frontalieri italiani alle dipendenze delle imprese sammarinesi, e infine attraverso gli investimenti in strumenti finanziari di diritto italiano delle banche, delle finanziarie, delle fiduciarie, e da qualche tempo anche delle società di gestione di fondi e delle compagnie di assicurazione sammarinesi.
Muovendo da tali premesse, mi chiedo per quale ragione l’Italia non cerca in San Marino un fedele alleato per la lotta contro la fuga dei “propri” capitali all’estero, posto che i capitali italiani a San Marino rimangono indirettamente in Italia, o qui tornano nelle modalità precedentemente indicate?
Per esempio, se San Marino si dotasse degli strumenti normativi necessari per divenire una efficiente piazza di attrazione per le holding e le sub-holding finanziarie, e se, conseguentemente i gruppi italiani che attualmente hanno società controllanti, controllate e collegate in Lussemburgo, Belgio, Olanda, Malta, Svizzera, o magari in qualche isola caraibica, spostassero le loro società a San Marino, l’Italia per i motivi precedentemente citati non ne trarrebbe grossi vantaggi economici? Io penso proprio di si. Le stesse riflessioni valgono per il trust, per gli hedge funds (che purtroppo in Italia non hanno mai conosciuto uno sviluppo e una diffusione significativa) per il private equity e per il venture capital (che nonostante la sua importante funzione economica di sostegno alla ricerca scientifica in Italia è ancora a uno stadio embrionale), per le polizze unit linked, per lo sfruttamento dei diritti d’autore, dei marchi e dei brevetti e più in generale per ogni strumento giuridico o finanziano che spinge capitali italiani all’estero per ragioni di fiscalità e di regolamentazione. San Marino negli ultimi anni ha disciplinato ognuno degli strumenti citati con normative trasparenti, efficienti, e conformi agli standard internazionali, ma, allo stesso tempo rese vantaggiose ed interessanti anche, ma non solo, dal trattamento fiscale; ritengo che l’Italia trarrebbe grossi benefici economici qualora i propri gruppi industriali e finanziari investissero in tali strumenti sammarinesi piuttosto che in analoghi strumenti di diritto estero, spostando ricchezza prodotta in Italia lontano dall’Italia.
Allo stesso modo un rinnovato e armonioso rapporto Italia — San Marino potrebbe prevedere l’utilizzo degli agili veicoli societari sammarinesi per attrarre investimenti esteri in Italia, e segnatamente nelle aree di confine, la costa adriatica in primis. Non è un mistero che l’Italia non risulti essere una realtà particolarmente vantaggiosa dal punto di vista fiscale per i potenziali investitori esteri interessati al Bel Paese. E’ conseguente poi che una crescita in tale senso della Repubblica di San Marino garantirebbe a quest’ultima una certa considerazione a livello internazionale, aprendole nuove prospettive di business con i Paesi stranieri.
Quanto fin qui rilevato mette in luce come San Marino potrebbe divenire la “piazza offshore -onshore dell’Itaha”, trasparente, regolamentata nel rispetto degli standard internazionali, ma al tempo stesso attrattiva e conveniente, e conveniente tanto per se stessa quanto per la vicina Italia che potrebbe finalmente riuscire a ridurre il suo eterno problema della fuga dei capitali all’estero, e ad attrarre forti investimenti stranieri.
Il risultato da conseguire non è né facile né immediato, ma il punto di partenza non può che essere quello delle ridefinizione di un rapporto che per il bene non solo di San Marino ma anche della stessa Italia deve cambiare radicalmente. Penso che l’auspicio tanto degli italiani quanto dei sammarinesi sia proprio quello di vedere il più presto possibile i propri Paesi legati da una relazione di amicizia, di armonia e di reciproca correttezza finalizzata al raggiungimento del bene comune.

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