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lunedì 31 marzo 2008

Superstrada: l'ennesima prepotenza di una classe politica

di Gian Franco Frisoni

Dopo aver permesso un’urbanizzazione selvaggia senza un adeguato sviluppo della viabilità e senza fare nulla o quasi per contrastare il superamento dei limiti di velocità, causa principale degli incidenti sulla Superstrada, non trova di meglio che chiudere i passaggi a raso creando forti disagi ai cittadini.
La ricerca della sicurezza sulle strade sammarinesi è prioritaria. Troppo alto il rischio che corrono i cittadini percorrendo le strade della nostra Repubblica e troppe le famiglie in lutto. Ma occorre cercare tutte le soluzioni possibili nel rispetto del diritto dei cittadini ad abitare in un paese vivibile.
Non ci sono marciapiedi. I passaggi pedonali sono pochi e pericolosi e a parlare di sottopassi o sovrappassi si rischia la vergogna (vedi sovrappasso di Serravalle).
Questa incoerente striscia d’asfalto che di 'super' ha solamente il numero degli incidenti quotidiani, rischia di dividere il paese in due. Per ritirare mia figlia dalla fermata del pullman scolastico, di fronte casa, dall’altra parte della strada, dovrò tirare fuori la macchina, fare quattro km, farla salire, per poi fare altri 2 km per tornarmene a casa.
Hanno pensato poi i nostri geniali politici che chiudendo questi nevralgici passaggi a raso il traffico si concentrerà inevitabilmente sulle ridicole rotonde di Fiorina e soprattutto di Serravalle che attraversare ora è gia difficile, con i suoi 5 ingressi e un diametro da piadina romagnola!
Prima di chiudere questi sicuramente pericolosi passaggi a raso, si poteva tentare di regolamentarli con delle limitazioni alle svolte e divieti di sorpasso in loro prossimità, supportati da adeguate segnaletiche orizzontali. Si doveva soprattutto, tentare di limitare gli eccessi di velocità collocando, ad esempio, degli autovelox in prossimità dei passaggi (ci sono riusciti anche ai Cantelli di Verucchio, ma evidentemente sono molto più avanti di noi!).
Ora invece la velocità verrà tutelata e quasi incoraggiata dall’assenza di ostacoli, a rischio dei cittadini che risiedono o che solo si avvicinano alla super(!)strada.
So quello che dico. Sono nato ai bordi di quella strada e da bambino ci potevo giocare anche a pallone mentre ora ho il terrore che la mia bambina ci si avvicini.
Prepotenti e ottusi politici, grazie per tutto questo.

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venerdì 28 marzo 2008

San Marino non farà la fine del Tibet

di Paolo Forcellini
direttore di 'Ambiente'

Ho letto questa mattina con grande stupore la notizia riportata sul quotidiano “Tribuna Sammarinese” inerente un eventuale pedaggio che il Governo Italiano per mano del suo ministro alle Infrastrutture, sì proprio Lui , avrebbe previsto per il tratto di strada Rimini - San Marino. Una decisione che sarebbe un colpo mortale per il nostro turismo , per il nostro comparto commerciale per la nostra quotidianità. Un ulteriore attacco alla nostra sovranità, da tempo minata dai mass media e da ministri Italiani che vedono nella nostra Repubblica il solo vero pericolo per l’ economia Italiana. Meglio ridere per non piangere anche se di ridere c’è poca…molto poca voglia. Credo che, se la notizia sarà confermata, ed attuata a meno ché quel ministro non venga mandato a casa da Berlusconi dopo il voto del 13 Aprile , i nostri politici dovranno finalmente decidersi una volta per tutte a farsi sentire alla Farnesina e non solo, a far sentire il disagio di una Repubblica da sempre libera e che oggi si sente minacciata nei suoi valori e nelle sue tradizioni, di far sentire l’urlo dei suoi cittadini stanchi ed umiliati da questa situazione che ci vede ormai sotto il costate attacco del vicino. Altro che accordi di Cooperazione, altro che buon vicinato. E per fortuna che ci troviamo in una parte del mondo dove ,nonostante tutto, fare la fine di un Tibet è più difficile.

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Sciopero della fame per il Tibet: giorno 3

di Alessandro Corbelli, Presidente PDs

Nella terza giornata di sciopero della fame, dopo aver constatato con immenso piacere lo spazio sin qui riservatoci dalle testate giornalistiche e dalla RTV di San Marino, comunichiamo che a tutt'oggi nessun esponente del governo e della maggioranza si è interessato alla grave questione del Tibet da noi sollevata. E' chiaro che non ci arrenderemo a tale deplorevole atto di qualunquismo volto a proteggere esclusivamente gli interessi economici con la Cina.
Seppur giunti allo stremo delle forze, continuiamo il digiuno ad oltranza e ci uniamo ai numerosi appelli lanciati dai leaders politici internazionali - "Pechino deve interrompere immediatamente la violenta repressione attuata in Tibet e deve negoziare con il Dalai Lama. Il Governo Sammarinese si deve vergognare di anteporre gli interessi economici a quelli di difesa e soledarietà per il tormentato popolo tibetano! Il pessimo esempio offerto per questa occasione dal Governo sammarinese, è chiaramente visibile agli occhi dell'intera umanità ed a quelli dei nostri figli, fulcro e speranza per il futuro democratico del nostro Paese."
Agli eccelentissimi Capitani Reggenti, che attraverso la Segreteria istituzionale hanno diffuso agli organi d'informazione sammarinese una nota ufficiale dove si afferma che il Presidente del PD sammarinese Alessandro Corbelli, attualmente in sciopero della fame, non ha fatto regolare richiesta di udienza, rispondiamo con grande sdegno e rammarico che nelle condizioni di precaria salute fisica del Presidente Corbelli ci si aspetta un cenno di pronto riscontro all'appello lanciato invitando lo stesso Corbelli all'udienza e non appellandosi alla mancata richiesta formale prevista dal protocollo! Pertanto, ci permettiamo di rinnovare la richiesta di udienza appellandoci ai loro sentimenti di fraterna solidarietà certamente nutriti per i loro cittadini.
Infine, confermiamo la richiesta di non partecipazione della squadra olimpica sammarinese ai Giochi Olimpici in Cina.

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Noi generazione di quarantenni

di Francesca Busignani

Noi generazione di quarantenni, sempre troppo giovani per “stare” con i grandi; sempre troppo grandi per avere le scusanti dei giovani. Noi nati a cavallo degli anni 70, quando la spinta propulsiva stava scemando, quando la forza degli ideali iniziava a lasciare il passo sempre più al Dio denaro, quando la parola data non era più così importante, quando le droghe pesanti avevano già cotto il cervello a parecchia gente. Noi, generazione cresciuta col mito di Fonzie, supercar, gli yuppie e i primi film su “vacanze di Natale”, con la fissa dei capelli cotonati, delle spalline delle giacche super-imbottite, dei paninari delle prime timberland e dei 501. Noi che a dirla così sembriamo dei contenitori vuoti siamo stanchi di essere stereotipati. Siamo snervati dall’essere etichettati come l’eterna “terra di mezzo”, come i figli di persone arrivate e mai come uomini personalmente consci, come individui privi d’ideali propri. Noi quarantenni d’oggi siamo persone con un cervello, arcistufe di essere definite delfini di qualcun’altro. Sappiamo scindere perfettamente l’essenza delle cose e forse proprio perché abbiamo trascorso un infanzia in un periodo di mera apparenza riusciamo a pelle a capire dove c’è della vera sostanza. Noi quarantenni d’oggi che possediamo la giusta esperienza e abbiamo ancora la voglia di fare, nonostante la vita ci abbia messo alla prova gia diverse volte. Noi quarantenni d’oggi, arrivati dopo che la torta è finita e troppo presto per la prossima, se mai ci sarà una prossima. Noi quarantenni di oggi, troppo spesso sottovalutati, ,sempre più arrabbiati. Noi quarantenni d’oggi, consci che dovremmo lasciare il passo, sempre più consapevoli però, che questo tempo ci appartiene. Noi quarantenni di oggi, non più disposti a lasciarc distruggere il Paese sotto il nostro naso; ormai maturi per agire. Noi quarantenni di oggi...

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giovedì 27 marzo 2008

Sulla vicenda Ritrovo di Serravalle

di Gastone Pasolini, socio Fondazione Ritrovo di Serravalle, membro di Sinistra Unita

Gira voce che tra Governo e Fincapital si sia trovato un accordo per chiudere la questione Fondazione Ritrovo dei Lavoratori di Serravalle. E sembra anche che il C.d.A. della Fondazione su quel contratto ci metterà la sua firma – sempre che non l’abbia già fatto – senza peraltro aver prima consultato i soci. La telenovela del Ritrovo di Serravalle, a distanza di 10 anni dalla sigla della convenzione, fa ancora discutere, senza che si trovi il bandolo della matassa per un’equa soluzione al pasticcio.
Ho letto con attenzione l’intervista a Giovanni Giannoni pubblicata da Tribuna in data 5 marzo 2008, nella quale egli minimizza la vicenda e raffazzona una sbrigativa soluzione.
Il problema non sta nella tempistica, come sostiene Giannoni. I lavori iniziarono prima che la convenzione fosse ratificata dal CGeG. Ciò che si dovrebbe chiarire è perché il governo di allora non sottopose la convenzione al giudizio del CGeG. Ogni segretario dovrebbe sapere che senza la ratifica del CGeG lo Stato non ha mandato ad effettuare pagamenti. Si dovrebbe anche chiarire perché fu fatto l’inizio lavori pur sapendo che l’iter di approvazione non era stato completato. La colpa – se di colpa si può parlare – non è comunque della Fondazione e dei suoi soci, ma dell’esecutivo di allora.
Non è vero – come afferma Giannoni – che ancora non si è arrivati ad una soluzione perché nella maggioranza vi è una forza politica che fa resistenze, ovvero Sinistra Unita. Troppo facile dare una simile giustificazione. Sinistra Unita è per la soluzione del problema. Ma non col solito metodo del «colpo di spugna». Ricordo a Giannoni che nella premessa del programma di governo è stato preso un impegno fondamentale che riporto testualmente: “il metodo all’impegno programmatico si accompagna con la forte volontà di attuare un metodo impostato su legalità, moralità, trasparenza e partecipazione”. Non commento queste poche righe, chiedo soltanto: l’impegno, è rispettato?
Giannoni sbaglia anche quando afferma che i ritrovi non hanno scopo di lucro e che sono di proprietà dello Stato. Molti di questi hanno perso la loro funzione sociale e aggregativa. Per esempio, in alcuni casi l’iscrizione alla fondazione è blindata e la proprietà è in mano ai soci. Ciò non avviene nella Fondazione del Ritrovo dei Lavoratori di Serravalle dove l’iscrizione è aperta a tutti (art. 8 dello Statuto della Fondazione) e in caso di scioglimento l’eventuale residuo attivo è destinato a finalità benefiche (art. 37). Ecco cosa distingue la Fondazione di Serravalle da molti altri ritrovi.
Concordo invece con Giannoni sulla necessità di arrivare rapidamente ad una soluzione, ma ad una condizione irrinunciabile: quella di non penalizzare la Fondazione.
Non dimentichiamoci gli enormi sacrifici fatti dai soci fondatori, i quali parteciparono alla costruzione del Ritrovo sottraendo reddito alle loro già povere famiglie.
Queste mie considerazioni di procedura e di scelta politica hanno un solo obbiettivo: difendere la causa della Fondazione e dei suoi soci, già pesantemente penalizzati dall’intervento di ristrutturazione del Ritrovo. Infatti, il nuovo edificio ha una metratura di molto inferiore a quella della struttura preesistente e si è seppellito sotto terra un piano che riceveva luce ed aria da tutti i lati. Inoltre, non va dimenticato che il progetto approvato dalla C.U. prevedeva la realizzazione di 3 piani fuori terra (pensiamo al valore che avrebbe).
Nonostante ciò, obtorto collo, se si deve accettare l’ultima ipotesi, sommariamente illustratami, do il mio assenso, avanzando però questa mia personale proposta: il Governo ha offerto di 2 milioni e 900 mila euro. Fincapital ne chiede 3 milioni e 800mila. Pare si accontenti di 3 milioni e 300mila. A copertura del disavanzo Fincapital reclama la proprietà di due negozi oggi in mano alla Fondazione. Propongo che il Governo paghi 3 milioni e 300mila euro e che però intesti all’Ecc. Camera i due negozi in questione lasciandone l’usufrutto alla Fondazione. In questo modo il Governo rientrerebbe di 3/400mila euro e si impedirebbe l’ingresso di un soggetto privato nella proprietà della struttura.
La Fondazione preferì la convenzione con lo Stato ad un accordo con una società immobiliare pur sapendo di rimetterci. E ciò per non favorire la speculazione privata. Si faccia in modo che quella scelta morale non gli si ritorca contro.

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mercoledì 26 marzo 2008

Giornata Mondiale dell'Acqua

di Paolo Forcellini

Il 22 Marzo, data scelta dalla Conferenza Mondiale sull’Ambiente tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992 , è stata dichiarata, “GIORNATA MONDIALE DELL’ACQUA”, anche se a Ginevra l’O.N.U. l’ha celebrata con due giorni di anticipo poiché sarebbe caduta in concomitanza con le vacanze Pasquali. Una giornata dedicata in particolare alla carenza dei servizi igienici , cui non hanno ancora accesso, secondo le ultime statistiche, almeno 2,6miliardi di persone delle quali 980 milioni bambini , con gravi ed immaginabili conseguenze sanitarie .Anche a San Marino qualcuno l’ha voluta ricordare ,con un esauriente servizio della RTV , e l’Istituto Europeo per l’Ambiente con la premiazione dei giovani studenti delle scuole Medie Statali ,vincitori del Concorso indetto dallo stesso I.E.A., sul tema “ Amiamo l’acqua anche quando c’é”. Una proposta educativa, che ricorda loro l’importanza dell’acqua per il loro futuro e contemporaneamente li invita al risparmio soprattutto quando l’acqua abbonda e non si è in emergenza idrica . Un’ emergenza che si rinnova periodicamente con l’avvicinarsi dell’estate e che in questi ultimi anni ha interessato un numero sempre maggiore di Nazioni a causa dei ben noti cambiamenti climatici che stanno colpendo il nostro pianeta. E’ ormai assodato che l’aumento delle temperature ,unito a rigidità atmosferica, determinerà una maggiore richiesta di risorse idriche .”Non c’è dubbio- sottolinea un esperto di Greenpeace- che i cambiamenti climatici sono una delle cause principali di uno stress idrico. Se la media della temperatura aumenterà di oltre due gradi rispetto ai livelli pre-industriali, ci saranno dai 2 ai 3 miliardi di persone potenzialmente senza accesso all’acqua. Tutto ciò sta diventando una questione molto seria” . E se oggi i pericoli di una guerra vengono dal petrolio, un domani, molto prossimo, saranno le forniture idriche a diventare la causa di conflitti internazionali . All’inizio del terzo millennio sono ben 31 i paesi dove scarseggiano le risorse idriche, molti dei quali si trovano in Africa ed in Medio Oriente. Ciò sta a significare che 1 miliardo e 200 milioni di persone , circa un quarto dell’intera popolazione mondiale, non ha accesso ad acqua pulita e sicura mentre più di 2 miliardi soffrono di carenze sanitarie legate alla penuria di acqua, che sono principalmente di natura ecologica come l’errato sfruttamento dei terreni,la distruzione delle foreste tropicali l’aumento esponenziale della popolazione mondiale la quale per il 40% dipende esclusivamente da sistemi fluviali in comune a due e più paesi. E quando l’acqua scarseggia è inevitabile che nascano dei conflitti. Tutti ricorderanno la guerra dei “ sei giorni” del 1967. Gli scontri fra Israele e la Siria per le alture del Golan, e con Amman per il controllo della Cis Giordania ,segnati da aspre contese per le acque del lago di Tiberiade, del fiume Giordano e dei suoi affluenti . Tra Egitto Sudan ed Etiopia è tensione perenne per le acque del Nilo , tra Turchia Siria ed Iraq per quelle del Tigri ed Eufrate e fra India e Bangladesch per quelle del Gange. Ad una prima lettura sembrerebbe che i problemi legati all’emergenza idrica debbano coinvolgere e siano limitati solo al Terzo Mondo .Ma anche nei paesi più ricchi ed industrializzati l’acqua assume un valore superiore al petrolio in quanto l’inquinamento ed il degrado ambientale ed il mutamento del clima incidono maggiormente ed in tempi più brevi sull’ambiente. L’acqua da bere per la salute del corpo con il tempo diventerà un privilegio per molti paesi , mentre contemporaneamente entro il 2025 i due terzi della popolazione non potrà disporre di acqua da bere. Sarà una vera emergenza. Ecco allora il motivo di tanti inviti a non sprecare acqua , dopo che la nostra civiltà ci ha abituati ad abusare delle risorse .Noi europei ,per nostra fortuna e per profusione di mezzi tecnici ed economici, a differenza della popolazione africana, sino ad oggi non abbiamo avuti grandi problemi. Ma d’ora in poi dovremo cominciare a preoccuparci . Da anni su tutto l’arco alpino si registrano ulteriori regressioni del limite delle nevi permanenti, i ghiacciaio che sono arretrati centinaia di metri , l’effetto serra ed il buco dell’ozono sono spauracchi per il nostro modo di vivere , l’acqua, quella buona ,quella potabile sempre più minacciata da mille insidie .Ecco allora l’allarme per una emergenza idrica, ecco i decreti per risparmiare l’acqua in agricoltura, industria ,sport, nel quotidiano , ecco attivarsi le varie iniziative di sensibilizzazione della popolazione e dei giovani tramite le scuole. E ciò, anche per Repubblica di San Marino, che solo da pochissimi anni si è dovuta porre il problema, soprattutto a causa della dipendenza idrica verso realtà di fuori confine, in quanto non autosufficiente per il proprio fabbisogno interno. E per fortuna di certi accordi , che speriamo possano perdurare nel tempo, in particolare quello con la diga di Ridracoli , che permette il nostro approvvigionamento che va ad incrementare quello delle fonti tradizionali quali quelle locali e serbatoi alluvionali del Marecchia. Ma appunto perché dipendenti in massima parte da Ridracoli, che quest’anno sembra aver fatto il pieno con le recenti nevicate, anche San Marino non deve sprecare acqua . L’acqua è un bene di tutti, e deve essere saggiamente gestita da ognuno di noi. Farne un utilizzo moderato e corretto significa praticare una efficace protezione ambientale e contribuire a salvaguardare la risorsa idrica anche per il futuro. Un invito non solo per i cittadini ma anche per i politici, sempre pronti a firmare accordi e protocolli d’intesa ,durante Conferenze organizzate nelle più disparate parti del mondo per la salvaguardia dell’ambiente ,che poi difficilmente trovano un seguito pratico.

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Sciopero della fame

di Alessandro Corbelli - Presidente PDs

Invito al governo cinese di cessare immediatamente le violenze.
La Cina non può macchiarsi dell’uccisione di cittadini inermi e nello stesso tempo ospitare i Giochi Olimpici che sono una grande manifestazione di amicizia e sport nel segno della fratellanza.
Auguriamo il riconoscimento del popolo tibetano, invochiamo l’intervento della comunità internazionale e sollecitiamo una presa di posizione forte e decisa del Governo sammarinese, in questa direzione il presidente Alessandro Corbelli inizierà oggi lo sciopero della fame se il governo sammarinese non invierà al governo cinese e all'ONU una richiesta di stop alle repressione del popolo tibetano e di apertura al dialogo con il DALAILAMA.
Infine, il PDs si dichiara a favore dello stop delle prossime Olimpiadi e chiede il ritiro della delegazione olimpionica sammarinese.

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Vicenda o-scura

di Laura Bernardini

Non era solo intuito femminile. L’ho scritto più volte che la vendita della Centrale non era bianca come il latte, ma molto “o-scura”. I fatti mi hanno dato ragione.
Le stranezze nell’”affaire”non mancano. Chi si ritira dall’appalto. Chi fa parte della cordata per l’acquisizione e non ne sa nulla, né è interessato all’acquisto. Un bando datato 2007, ma con “trattative formali” che risalgono al 2005 e chissà a quando quelle informali. In quegli anni chi ha tramato, cosa? E con chi?
Adesso si parla di un nuovo bando dopo che il Segretario Riccardi in Consiglio ha detto: “Visto gli sviluppi, il governo ritiene siano mutate le condizioni iniziali, in quanto dalla cordata interessata vengono meno due società sammarinesi importanti, La Sociale e Titancoop”. Ma quali condizioni iniziali mutate? Perché se si sono ritirate queste due società, si deve rifare tutto? Perché loro o una di loro devono esserci per forza? La loro presenza è una ”condicio sine qua non” per la privatizzazione o la vendita? Perché, torno a chiedere, non sono mai stata contattata nonostante avessi tutti i requisiti? Che ne è stato del mio piano industriale, dei miei documenti debitamente presentati?
Ho letto inoltre che il Consiglio impegna l’Esecutivo “ad accertare l’attendibilità dei documenti pervenuti e verificare la rappresentatività delle persone fisiche”. Benissimo!
Caro Esecutivo che mi dici dei miei documenti? Quali non andavano bene? Perché ignori le mie ripetute domande? Danno fastidio a qualcuno?
Per quanto riguarda la “rappresentatività”, sono sammarinese e il mio casellario giudiziario è vuoto. Non mi è mai stato ritirato il passaporto o sono stata considerata sgradevole da qualche Paese, come alcuni imprenditori. Gli stessi che nonostante avessero questo fardello alle spalle, per l’Esecutivo avevano le “doti” necessarie per essere nella rosa dei candidati.
Sfido chiunque a dire il contrario sulla mia persona in quanto a rappresentare al meglio San Marino e la sua imprenditoria.
Possibile che nessuno tra maggioranza e opposizione risponda anche a una sola delle mie domande? Siamo in democrazia o cosa?
Il Consigliere Francini, sempre nella stessa seduta chiede alla maggioranza “l’impegno per l’accertamento delle responsabilità politiche e penali”.
Buona idea, credo che lo farò anche io.

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venerdì 21 marzo 2008

Quarant’anni fa il 1968

di Paolo Forcellini

Il ’68 va presentato come una rivoluzione culturale che ha inciso più sul costume e sui comportamenti sociali che non sulla politica. . Chi in quegli anni,si è impegnato attivamente ha assistito ad avvenimenti che furono determinanti per diversi cambiamenti, e tali da far definire il 1968, anno in cui ebbero la loro apoteosi , appunto “ Sessantotto “. Un periodo che ebbe molte anime ma non tutte in sintonia fra loro. La più famosa e temuta, per fortuna minoritaria, fu quella del terrorismo. che sfociò anche in “Stragi di Stato”. Tale fenomeno di massa è ancora motivo di discussione in quanto per tanti fu un movimento che portò una ventata di rinnovamento ed un mondo decisamente migliore, mentre per altri, un movimento che ha diviso la gente, acuendo l’odio di classe e dato un colpo mortale alla moralità e alla stabilità politica . Questa ventata innovatrice , con epicentro nelle Università occupate , dove il “ movimento studentesco” tentò di dare vita a forme educazione alternativa a quella ufficiale e un’opposizione “extraparlamentare”, con l’intento di coinvolgere tutta la società a partire dalla base , investì molti Stati del mondo. In America fu la guerra del Vietnam sulla quale si sono concentrate le lotte ,che assunsero la forma di conflitto antimperialista .Questa terminò definitivamente nell’aprile del 1975 soprattutto sotto la spinta della protesta dei così detti “ figli dei fiori”. Fra gli altri Stati che hanno vissuto il ’68 vanno ricordati la Cecoslovacchia con la “Primavera di Praga” ,la Cina con la “Grande Rivoluzione Culturale”, la Francia con il “Maggio Francese” dove la protesta assunse i toni più violenti , che con l’occupazione della Sorbona e le barricate al Quartiere latino, ha dato luogo a scontri mortali fra polizia e studenti .In Italia il fenomeno del ’68 iniziò sviluppandosi da una diffusa situazione d’insoddisfazione giovanile verso una società “opulenta”incapace di rispondere alle esigenze di un innalzamento del livello materiale di vita. Gli scioperi degli operai in fabbrica si unirono a quello degli studenti che cominciarono a contestare i metodi e i contenuti dell’istruzione e che rivendicavano il diritto allo studio anche per le classi più disagiate. Tutte le più grandi industrie vengono occupate . La Fiat è costretta ad interrompere la catena di montaggio. 25.000 operai vengono sospesi . Inutili gli incontri e le mediazioni, si sfiora la guerra civile . Al grido di “Potere Operaio” si mobilita tutta la città di Torino. Il tutto porta dopo diversi giorni di scontri sempre più violenti e frequenti fra polizia e dimostranti, a contratti decisivi che prevedevano aumenti salariali, interventi nel sociale, revisione delle pensioni, minori ore lavorative, diritti di assemblee, consigli di fabbrica oltre aver gettato le basi per lo Statuto dei Lavoratori. Tutto ciò riportò la calma nel Paese , ma fu una calma apparente . Finì l’epoca del ‘68, ma da questa nacquero altri movimenti che portarono come nel caso delle “Brigate Rosse”, ad azioni armate e che si sono protratte per tutto il decennio successivo . E a San Marino? San Marino non ha conosciuto un ‘68 vero e proprio. Lo ha conosciuto indirettamente dalle notizie dei Mass Media , direttamente da qualche sporadica performance che sapeva più di goliardata che di contestazione di chi ha voluto moralmente e politicamente sostenere l’azione di lotta dei “compagni” della vicina Italia , ma con la discrezione tipica dei sammarinesi che , al di là degli ideali , formava , come purtroppo oggi non più, pur sempre una grande famiglia. Fu quella del ‘68 una contestazione globale che ha coinvolto anche il mondo dell’arte ,della musica , dello sport oltre a quello della moda che contraddistingueva i sessantottini per i loro eskimo, le camice a scacchi, i maglioni stracciati a collo alto, i primi jeans e i capelli lunghi e per l’immancabile “Manifesto” piegato sotto il braccio. Una protesta che si dimostrò però per molti un fallimento per non aver raggiunto quelle aspirazioni per il quale era nata. . Quel periodo fu praticamente una rivolta etico politica che ottenne il solo risultato di spostare l’attenzione su valori come il pacifismo, il razzismo, sul potere come forma di dominio, i diritti delle donne, l’interesse per l’ambiente . Nonostante ciò , dopo il 68 il mondo è cambiato molto poco , anche se obbiettivamente va riconosciuto che non sarebbe più potuto tornare quello di prima. Pur essendo trascorsi ormai quarant’anni , quel “famigerato 68 “, così è apostrofato da chi lo ha vissuto ma non condiviso , a differenza di chi invece lo rimpiange magari avendolo vissuto solo nella culla , sembra non essere masi esistito . Ce lo ricorda solo qualche personaggio ormai settantenne ,che sfruttando una situazione politica favorevole, occupa oggi posti di prestigio e di potere, quel potere che da giovane aveva combattuto e per il quale molti suoi coetanei ed amici di cento battaglie hanno dovuto pagarne il fio. Ce lo ricordano le numerose riforme Universitarie, con piani di studio sempre meno impegnativi che rilasciano lauree che nessuno considera quando un giovane è alla ricerca del primo lavoro. Ce lo ricordano coloro che ancora militano nei partiti dell’autentica sinistra , ai quali va il merito della coerenza e della serietà , a differenza di coloro che , hanno sostituito gli eskimo e le camice a scacchi , i jeans e le folte capigliature , con completi grigi di Armani , loden e un’immancabile sciarpa di cachemire al collo. Un solo fatto forse accomuna tutti quelli di quella generazione: che. gli anni sessanta sono stati gli anni della loro gioventù molto pieni, emozionanti e perfino divertenti per chi come loro ha avuto la fortuna di viverli.

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giovedì 20 marzo 2008

Lettera aperta dei precari dell'Università

di Pietro Renzi, Matteo Berardi, Luca Volpinari, Davide Bartolini, Francesca Renzetti, Elis Marzi, Silvia Ceccoli


Scriviamo questa lettera intenzionalmente dopo il referendum perché essa non nasce come indicazione di voto ma come spunto di riflessione riguardo alle forme di lavoro sulle quali il referendum verteva e sul comportamento di sindacati e governo in merito a queste.
Essendo un gruppo di giovani lavoratori, da tempo in collaborazione con contratto a scadenza annuale con l’Università degli Studi siamo direttamente interessati all’argomento. Non per questo però la nostra iniziativa vuole essere un attacco alle due istituzioni di cui sopra, ma vuole aprire, se possibile, un confronto.

Capiamo che lo stato attuale delle cose, l’economia in trasformazione e la globalizzazione, necessiti di nuove forme contrattuali, introdotte per sbloccare un mercato del lavoro troppo “ingessato”. Queste però hanno una giustificazione fino a quando non vengono utilizzate dai datori di lavoro per avere vantaggi economici e posizioni dominanti nel rapporto lavorativo.
Per far sì che questo non accada basterebbe applicare le leggi esistenti e, dove possibile, migliorarle. Oltre a ciò dovrebbero esserci degli organismi di controllo efficienti che vigilassero sulla corretta attuazione delle leggi e sul fatto che il datore di lavoro, già in posizione dominante per via della forma contrattuale, non possa sfruttarle a suo ulteriore vantaggio.
Non è corretto, infatti, che il datore di lavoro soddisfi il bisogno continuo di lavoratori con sole assunzioni temporanee. Si generano in questo modo situazioni che possono creare problemi se protratte per lungo tempo, soprattutto considerando che spesso a trovarcisi sono giovani appena entrati nel mondo del lavoro, con necessità importanti che riguardano il loro futuro: diventare indipendenti a livello economico e sociale o crearsi una famiglia. I contratti interinali e i contratti di collaborazione spesso non permettono di fare queste scelte, perché non danno una minima garanzia di stabilità e nessuna tutela sociale.

Analizziamo ora la realtà sammarinese: i contratti interinali e i contratti di collaborazione vengono applicati spesso indiscriminatamente, non per orizzonti temporali limitati. I datori di lavoro usano spesso il maggior potere sindacale dato loro da queste forme contrattuali ritorcendolo contro il lavoratore stesso. Anche se a volte non è esplicito, il lavoratore, soprattutto quando avanza richieste di miglioramento delle condizioni contrattuali o di assunzione, sa benissimo che potrebbe non avere possibilità. Egli può solo contare sull’esperienza che può avere acquisito negli anni come leva di contrattazione, visto che questi tipi di contratto permettono il “licenziamento” immediato.
Per orizzonti temporali così artificiosamente dilatati, la soppressione dei diritti sociali è inaccettabile. Cinquant’anni di dure lotte sindacali per l’affermazione dei diritti dei lavoratori vengono in questo modo annullate. Il lavoratore interinale si scontra con l’insicurezza del posto di lavoro e il lavoratore in collaborazione non ha diritto a malattia, versamenti pensionistici, ferie, tredicesima e licenziamento. Il regresso sociale è evidente. La più grave mancanza di tutela è però quella nei confronti della maternità, perché incide sulla possibilità delle donne di avere figli e mantenere il posto di lavoro.

In questo scenario pensiamo che le istituzioni coinvolte debbano muoversi per migliorare la condizione di noi giovani. Nella situazione attuale però, facendo solo un’analisi e non volendo sollevare polemiche, nessuno sembra interessarsi al problema. Il governo non ci risulta lo abbia mai affrontato, anzi attua esso stesso, per periodi lunghi, queste forme di contratto all’interno dei suoi organi. I sindacati, che per il loro ruolo ci aspetteremmo che fossero al nostro fianco per cercare di migliorare questa situazione, non sembrano interessarsi alla questione. Per inciso, siamo rimasti colpiti dalla presa di posizione dei sindacati per i referendum, non per il loro consiglio di non andare a votare, ma per le loro motivazioni: mentre la posizione può essere legittima, perché la legge c’è e potrebbe essere anche un valido punto di partenza, nessuna motivazione da essi portata accennava al fatto che bisognerebbe controllarne la corretta applicazione ed eventualmente migliorarla.

A questo punto possiamo dire che ci sentiamo poco rappresentati e tutelati dalle istituzioni. Non vogliamo dare una ricetta o delle soluzioni, ma ci aspetteremmo che a queste nostre esigenze legittime fosse data una risposta concreta. Pensiamo che il mantenimento dello status quo potrebbe portare anche a una crisi sociale, perché potrebbe minare i fondamenti su cui la nostra società democratica è stata fondata, quei valori che possono portare ad una valorizzazione e realizzazione della persona: l’indipendenza, il lavoro e la famiglia. Mettendo in discussione tali valori crediamo che i giovani difficilmente riusciranno a diventare adulti fiduciosi nella società, nella democrazia e nella politica.

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NON SI VIVE DI SOLO PANE ("Repubblica di San Marino - Tutto un altro mondo")

La nostra classe dirigente (e con essa, ahimé, buona parte della cittadinanza) ritiene la politica estera argomento di scarso o nullo interesse per il Paese, eccezion fatta per i complicati rapporti con l’Italia. Essa risulta perciò un po’ residuale anche a causa del ruolo insignificante del nostro Paese nel panorama mondiale, non essendo San Marino neppure una piccola potenza regionale.
I ministri degli esteri sammarinesi si sono sempre comportati come quell’amministratore della General Motors in America che diceva: “quello che va bene per la General Motors va bene per l’America”, così i nostri Segretari di Stato per gli Affari Esteri hanno sempre creduto in passato che, in campo internazionale, quello che andava bene per l’Italia andava sicuramente bene anche per San Marino. Ma anche i debiti di gratitudine più profondi, verso la vicina Italia, non possono essere sempiterni. Oggi sembra quasi che San Marino agisca invece come se fosse un Paese autarchico, senza una necessaria, anzi indispensabile, apertura verso l’esterno, verso il mercato globale, verso i valori più alti di una politica di difesa attiva dei diritti umani e dei diritti civili in tutto il mondo.
Così ci siamo allineati ai soli quattro Paesi europei che non hanno riconosciuto per evidenti motivi d’interesse economico (la dipendenza dalle fonti energetiche russe) i nuovi confini del Kossovo, mentre tutti gli altri (Italia compresa) si sono invece affrettati a dare positivi e concreti segnali di favore alla neonata indipendenza.
San Marino, in verità, ha sempre sostenuto (almeno a parole) una politica di apertura al dialogo e alla pace (“peacekeeping”), ma il dialogo e la pace, oggi, stanno rendendo un buon servizio ad israeliani e palestinesi martoriati dalla cieca violenza della nutrita ala dei falchi di Hamas (ampiamente sostenuti dal peggior terrorismo islamista internazionale)? O al popolo non sciita libanese vessato dagli Hezbollah (il “Partito di Dio” con il mitra nella bandiera)? O al popolo afgano continuamente terrorizzato dall’integralismo intollerante dei talebani? O agli stessi kossovari che per secoli hanno subito le violenze dei serbi più estremisti? O alle tribù del Darfur, dove il genocidio continua imperterrito nel disinteresse generale? O al popolo tibetano, oppresso dal dominio militare cinese? Come si fa a dialogare con chi rifiuta il dialogo? Come si fa a chiedere pace a chi la violenta quotidianamente?
Credo vi siano nel mondo molte zone di crisi dove l’intervento armato di forze di pace internazionali, confortate dalle stesse Nazioni Unite (che dopo sessant’anni andrebbero finalmente riformate) sia non solo auspicabile ma ormai indispensabile per riportare la pace (“peace enforcing”), la democrazia, i diritti umani e soprattutto salvare più vite possibili. Agire, non pontificare, risolvere i conflitti, non procrastinare decisioni all’infinito, imporre la pace, non invocarla. Credo che questa sia una vera e reale politica pacifista. Credo che, almeno per un piccolo Paese come il nostro, sia doveroso anteporre agli interessi economici, ai meri calcoli di convenienza, alle esigenze particolari di qualche micro azienda locale, una politica basata sui valori largamente condivisi di libertà, indipendenza, auto determinazione e di rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo, difendendo così una civiltà costruita faticosamente in millenni di storia.
Credo sia giusto, per lo meno in questi casi, anteporre i valori agli interessi economici, e ciò dovrebbe valere oggi anche nei confronti della Repubblica Popolare Cinese.

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Cavalli e Volpi

di Marino Antimo Zanotti

Al tempo in cui frequentavo la scuola elementare, destava molta ilarità la storia di Caligola che nominò a capo del senato il proprio cavallo. Al nostro divertito stupore la maestra spiegava che in tal modo Caligola intendeva riaffermare il proprio assoluto ed indiscusso potere, permettendosi qualunque vezzoso capriccio.
La storia è maestra di vita ma a volte si ripete, nei luoghi più impensati.
La Repubblica di San Marino e il Consiglio dei LX hanno molto onorato Caligola. Da noi non mancano infatti gli emuli dell’imperatore romano.
Sono dei piccoli Caligola locali, solitamente personaggi di spicco dei grossi partiti sammarinesi che, sfruttando il sistema delle cordate reso possibile dalle tre preferenze, trascinano in consiglio la loro piccola mandria di Cavalli, o similari animali provenienti da incroci poco studiati.
Così il Consiglio Grande e Generale si riempie di politici poco significativi, dall’autonomia nulla nei confronti dei loro mentori e padroni. Cosicché quella gente, già potente come Caligola, avrà strada aperta per le future distruzioni del Paese.
Noi Cittadini oggi ci troviamo a difendere il nostro Paese anche dalle Volpi, come il contadino il suo pollaio dalle loro incursioni.
Di Volpi ne conosciamo di vari tipi, dalla Volpe argentata che dal perito moreno scende nella pampa sconfinata, alla Volpe bionica o elettronica che emette suonerie armoniose di concerto con la Volpe telematica e insieme attirano in trappola le loro prede.
Nelle ultime legislature le Volpi hanno fatto scempio del nostro pollaio, trascinando nelle loro ruberie cordate di galline.
La proposta di sparare alla Volpe con la munizione della preferenza unica è stata rigettata.
Non l’avremmo uccisa, questo è chiaro. Però sarebbe rimasta sicuramente azzoppata!
La sua natura l’avrebbe certamente ricondotta al pollaio ma con meno velleità e, duramente azzoppata, avrebbe avuto molta difficoltà a trascinare le solite galline legate tra loro da cordate.
Probabilmente sarebbe dovuta scappare per salvare … il pelo.
Molti cittadini hanno dimostrato d’amare tantissimo gli animali : hanno voluto conservare in Consiglio Grande e Generale le Volpi, i Cavalli e … i somari.

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mercoledì 19 marzo 2008

Dalla violenza nasce solo nuova violenza

di Epifanio Troina

Nelle prime pagine dei giornali trovano spazio quei conflitti che hanno rilevanza politica o economica oppure che destano l’attenzione dell’opinione pubblica per qualche episodio drammatico o sanguinoso. Fanno notizia gli avvenimenti in Tibet, in Palestina, in Kosovo ma sono molte, nel mondo, le guerre che non vengono menzionate da tv e giornali: Congo, Zimbawe e Darfur sono solo alcuni dei Paesi in cui muoiono migliaia di persone ogni settimana.
Nel 2001 ci sono state 24 guerre, 25 del 2000 e 27 del 1999. Nel decennio che va dalla caduta della cortina di ferro alla fine del XXsecolo, 57 guerre hanno devastato 45 Paesi diversi. In genere sono state guerre interne, guerre civili. La guerra classica, cioè quella combattuta tra Stati sovrani, è oggi l’eccezione e non la regola. In 15 casi c’è stato l’intervento di truppe esterne, a sostegno di una delle fazioni in lotta. 19 si sono combattute in Africa; 16 in Asia. L’America Latina, tradizionalmente sconvolta da guerre e rivoluzioni, ha conosciuto una significativa riduzione dei conflitti armati.
Uno studio effettuato dall’Università di Amburgo ha stimato che dal 1945 al 1997 ci sono state almeno 194 guerre che, in media, hanno causato 354.000 vittime ogni l’anno. Non meno importante è dunque il numero delle vittime provocate da ciascuna guerra.
Occorre mettere in atto ogni iniziativa utile per avviare il dialogo e raggiungere una convivenza pacifica e rispettosa della identità culturale e religiosa dei popoli.

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Protesta

di Paolo Ghiotti, Presidente della Collettività Sammarinese dell’Emilia

Nella tribuna elettorale post-referendum del 16 Marzo 2008 (di RTV, ndr), erano presenti, oltre ai promotori referendari, tutte le forze politiche, sociali ed economiche, eccetto i rappresentanti della Consulta dei cittadini residenti all’estero, perché non invitati. Premesso che la Consulta è un Organismo riconosciuto dallo Stato, non è corretto ignorarla da Codesto Organo di informazione, soprattutto in quell’occasione, dove l’epicentro della discussione era il voto estero. Sono state fatte accuse e offese ai cittadini residenti all’estero, tali da dare l’impressione di essere criminalizzati allo scopo di ottenere consensi interni. In uno stato di diritto hanno possibilità di difesa anche i criminali. Noi cittadini all’estero siamo tanto criminali da perdere anche questo diritto? Se avessimo avuto questa possibilità, avremmo potuto far osservare al Signor Erik Casali:
Il referendum è un’istituzione democratica e uno strumento nelle mani del popolo, ma non va usata per dirimere faide fra partiti o antiche diatribe interne alle associazioni sindacali, così come è parso di capire dal dibattito.
Partecipare al voto è un diritto,ma non un obbligo tale da stigmatizzare coloro che liberamente hanno scelto di non recarsi alle urne.
La campagna elettorale è stata imperniata sul voto estero reo di tutti i mali della Repubblica. I promotori hanno fatto i conti domandandosi : si prendono più voti sensibilizzando quei circa 5.500 cittadini residenti in Italia o criminalizzandoli prendendo, così, i voti dei residenti? A conti fatti hanno pensato che pagasse più la seconda soluzione, ma, evidentemente hanno fatto male i conti. Molti associati della mia Comunità e anche delle altre, non sono andati a votare perché disgustati dal modo in cui i promotori hanno fatto la loro campagna, imperniandola unicamente sul fatto che con una sola preferenza si eliminava “la distorsione del voto estero”. Come se quella dell’interno,assai più pesante, in termini di favori, non esistesse nemmeno, ignorando volutamente che i rappresentanti della Consulta sono stati i primi a dichiarare di voler prendere in esame la possibilità, non solo di diminuire, ma addirittura di eliminare le preferenze, prima ancora dell’approvazione della legge elettorale.
Infine vorrei ricordargli che da oltre cinquant’anni mi sono recato alle urne a San Marino con i miei mezzi ( comprese la gambe, quando abitavo al di là del fosso della Dogana) e non ho mai venduto il mio voto a nessuno né tanto meno ho ottenuto favori di scambio, ma ho lavorato sodo il Italia per 40 anni, da meritarmi la pensione, con la quale vivo onestamente.
Al rappresentante di Alleanza Popolare avremmo potuto dire:
Ha ragione quando afferma che è sempre stato coerente, sia in Consulta che nelle altre occasioni. Infatti ha sempre dichiarato che chi ha due cittadinanze non ha diritto al voto, in quanto questo diritto è legato ad una sola cittadinanza. Allora perchè non è coerente fino in fondo?,Ha bocciato un’Istanza d’Arengo, da me presentata, volta ad ottenere il diritto di voto a quei giovani residenti in Italia, con la sola cittadinanza sammarinese, i quali non votano in Italia perché stranieri e non votano nella loro patria perché così dice la legge.
Termino dichiarando che tale assenza è stata un’ulteriore discriminazione nei confronti dei residenti all’estero e che non meritano un tale trattamento. Infatti non mi risulta che sulla cronaca scandalistica siano mai apparsi cittadini sammarinesi residenti in Italia, ciò che non si può affermare di alcuni residenti all’interno

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Mariuoli o cretini, svegli o incapaci?

Conversavo in tono faceto con amici, tempo addietro, su quale fosse la iattura peggiore per noi cittadini: avere una classe dirigente furba e maneggiona o un po’ stolta e inefficiente. Tutti avrebbero preferito, ovviamente, politici astuti ma anche intelligenti, un po’ corsari ma anche capaci, insomma dei veri statisti, “capra E cavoli”, ma il ludico passatempo imponeva una scelta.
Così alcuni di noi, credendo più virtuoso un politico onesto, anche se un po’ stolto, rinunciavano al diritto di essere, diciamo così, ben governati, pur di non essere, diciamo così, eternamente gabbati, mentre altri (la maggioranza) erano disposti a concedere qualcosa (non troppo, evidentemente) in termini di specchiatezza ma pretendendo che il Paese intero traesse giovamento dalle malizie e dall’abilità dei propri governanti. Poi, qualche giorno dopo la chiacchierata al bar, m’imbatto in un articolo di Lanfranco Pace, giornalista che stimo e che in genere c’azzecca, e che ha trattato in modo molto convincente proprio questo genere di dubbi, riuscendo a dire (in modo ben più serio e puntuale) tutto ciò che avevamo improvvisato nelle volgari ciacole di un uggioso pomeriggio invernale. Per questo credo utile proporlo anche ai commenti dei nostri lettori.



MARIUOLI E CRETINI
Qualche giorno fa, nel corso di una puntata di Otto e mezzo, ho detto che “un politico mariuolo ma efficiente è meglio o comunque più utile al suo popolo di quanto possa esserlo un cretino onesto”. Una considerazione ovvia, banale. Invece c’è stata maretta, qui e fuori di qui. Il surriscaldamento del clima alla vigilia delle elezioni non spiega tutto. E' evidente che su politica, legalità e giustizia, i nervi sono ancora scoperti.
Tutti preferiremmo essere governati da uomini e donne capaci, intelligenti, lungimiranti, disinteressati e onesti. Ma il bene assoluto e la perfezione non sono di questo mondo. Dovendo rinunciare a qualcosa, mi piace pensare che la qualità meno importante per essere un grande uomo politico sia proprio l’onestà.
Richard Nixon era soprannominato “Dick l’imbroglione” ancora prima di essere eletto presidente. Di cosa fosse capace, lo si è visto nel suo mandato: faceva intercettare i telefoni dei suoi stessi collaboratori, si accompagnava con uomini d’affari quanto meno discutibili, usava in modo disinvolto i fondi raccolti, giù fino alle cimici fatte piazzare nella sede del partito democratico, appunto lo scandalo Watergate che lo travolse. Eppure trattò con Hanoi e firmò la pace che mise fine alla sporca guerra. Aprì alla Cina. Infine sganciò il dollaro dall’oro, voltando la pagina degli accordi di Bretton Woods e del regime dei cambi fissi. Per molti economisti questa è forse la decisione di politica economica più importante del secolo. Il resto del mondo ne ha pagato per molto tempo le conseguenze. Ecco dunque un amorale, cinico e diffidente, antipatico e privo di appeal, che costruisce le condizioni essenziali per una nuova leadership americana sul mondo. La storiografia americana l'ha tolto dal fango e lo ha messo nel panteon dei grandi presidenti.
Helmut Kohl finì impigliato nella rete del finanziamento illecito al suo partito, la Cdu tedesca. Ma sarà ricordato come un gigante della storia europea, come colui che capì subito la situazione determinata dalla caduta del Muro di Berlino e seppe riunificare in pochi mesi un paese diviso dalla fine della guerra, piegando la resistenza di Mosca e la diffidenza di Parigi. La riunificò al meglio, imponendo il cambio “uno contro uno” tra il marco dell’ovest e quello dell’est nonostante valesse si e no un quarto di quello occidentale. Non dette ascolto alle obiezioni di buona parte del padronato o del mondo bancario né a quelle dei sindacati che temevano contraccolpi sul salario e sul livello di vita nella Germania ovest. Tenne duro. Certo, i corrotti che hanno abitato il parlamento italiano senza troppo brillare per profondità di analisi o per coraggio nell’azione sono ben diversi dai nomi che ho citato.
Si può capire quindi che diano l’orticaria a molti. Di regola però, dovremmo pensare la politica come impegno alto, grave e difficile perché questo è per chiunque si trovi a guidare un paese per volontà del popolo. Per quanto riguarda invece la piccola politica che tanto preoccupa le vestali della legalità, è opportuno ricordare un paio di punti di diritto. Chi non è ancora stato condannato in via definitiva deve godere della presunzione di innocenza. Chi invece è stato condannato in via definitiva, ha pagato il suo debito verso la società, ha scontato la pena ed è stato riabilitato, ha il diritto di candidarsi come e dove vuole, a meno che non sia stato interdetto dai pubblici uffici con sentenza del magistratura.
Va da sé che sarebbe comunque auspicabile che non si candidasse, per ragioni di opportunità e di immagine. Cioè politiche.
Il vero freno alla corruzione non è mettere tutti in manette ma lasciare la scelta agli elettori. Così se poi eleggono il reprobo almeno sapranno con chi prendersela. In Francia, dove c’è il maggioritario a due turni, alcuni sindaci più che sospetti di corruzione sono rimasti in carica decenni, sempre rieletti trionfalmente: evidentemente avevano fatto per la città, per gli altri più di quanto non avessero fatto per sé . In democrazia la politica è fatta anche di questo.
Cerchiamo dunque di essere onesti con noi stessi. Ce l'abbiamo con i politici di oggi non perché siano particolarmente corrotti. E’ da quando portavo i calzoni corti che sento parlare di scandali. Ce l’abbiamo con loro e giustamente perché hanno fallito nei compiti fondamentali: non sono riusciti a creare le condizioni ottimali perché il popolo potesse soddisfare bisogni, realizzare aspettative, dar corpo ai sogni. In una parola non hanno saputo accompagnarci verso il futuro.
Scritto da LANFRANCO PACE il 28/02/2008
Tratto da Millefoglie – La7

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lunedì 17 marzo 2008

Governo batte Comitati Promotori 4-0

di Paolo Forcellini - Direttore di Ambiente

Si sono consumati finalmente i quattro Referendum che hanno visto perdenti coloro che li hanno proposti e vincitori sindacato, artigiani, industriali , cacciatori di voti, capi cordate , oltre che al Governo e coloro che un giorno sperano di farvi parte e per questo sono già in pole position. Nonostante le tenue speranze che qualcuno dei referendum potesse raggiungere il quorum, in particolare quello sulla Preferenza Unica , viste le premesse e i numeri del precedente ,e nonostante che un terzo dei cittadini abbia coraggiosamente esercitato il proprio diritto sacrosanto di voto, le cose, come sempre nel nostro paese, sono rimaste tali e quali. E ciò nonostante la tanta voglia di cambiamento, che tutti da tempo vanno sbandierando ai quattro venti. Quo usque tandem….?

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Quer pasticciaccio brutto de Strada Genghe di Atto

di Leonardo Raschi - Liberal Sammarinesi

Eppure pareva che le intenzioni fossero le più serie: quella di privatizzare il latte sammarinese. Dopo tanti governi che avevano fatto orecchie da mercante di fronte alla privatizzazione della Centrale del Latte nostrana (nascondendosi dietro il fatto che – grazie al semi monopolio - non vi era nessuna fretta nel privatizzare un’azienda che non perdeva un euro) finalmente un governo che metteva in agenda il problema e procedeva con piglio sicuro nella privatizzazione. Finalmente un governo liberale si diceva. Un governo che si professa liberale e fa qualcosa di liberale.
Ma qualcosa non ha filato per il verso giusto nonostante i compratori non mancassero: il Gruppo Giorgetti, un consorzio sammarinese, la Titancoop, La Sociale e le italiane il caseificio San Leopoldo e la Cooperativa La Lombarda. Come è stato come non è stato uno alla volta i possibili acquirenti sono tutti svaniti nel nulla. Ultima in ordine di tempo quella per cui il caseificio San Leopoldo e la Cooperativa la Lombarda smentivano di avere rappresentanti delegati alla trattativa per acquisire l’”Eurolatte” di San Marino.
E questo è stato il punto più alto della commedia. Nel mezzo ci si è messa anche sinistra unita che nel reclamare il latte sammarinese rimanesse in mani sammarinesi ha contribuito a creare ulteriore confusione. A mio avviso la vendita della Centrale del Latte sarebbe dovuta avvenire alla stessa maniera con cui si sta privatizzando Alitalia: si fissa una data dove i possibili acquirenti fanno pervenire le loro offerte poi il governo decide sulla base dell’offerta più conveniente. Ora la situazione è in una fase di stallo, la privatizzazione è ferma e il governo non sa più che pesci pigliare.
Intanto le attrezzature ed i macchinari della Centrale del Latte sono sempre più fatiscenti ed obsoleti. L’Azienda ha bisogno di ingenti investimenti di denaro fresco per cercare di portare le attrezzature dell’Azienda a degli standard minimi di accettabilità tecnologica. Ma a questo punto ci sorge un sospetto: non vorrei che qualcuno aspettasse che sia lo stato a mettere i soldi per ristrutturare l’Azienda e a quel punto l’Azienda sarebbe bel e pronta ad andare sul mercato magari in mano di qualche amico del potente di turno. Sarebbe l’ennesimo scandalo alla sammarinese.

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venerdì 14 marzo 2008

In ricordo di Aldo Moro

di Emilio Della Balda

Ricordo ancora con chiarezza il 16 marzo 1978, il giorno in cui le Brigate Rosse rapirono Aldo Moro e assassinarono i cinque uomini della scorta. Fui talmente colpito da quell’atto criminale, compiuto con tragica perfezione, che per trenta anni ho seguito con attenzione indagini, processi, confessioni, notizie, interviste. Nonostante questo mio interesse per il “caso Moro” non sono mai riuscito a darmi una spiegazione politica del drammatico avvenimento. Non mi ha mai convinto la tesi che le Brigate Rosse, o chi le manovrava, volevano togliere di mezzo Moro per impedirgli di inserire i comunisti nell’area di governo. L’avrebbero ucciso sul posto senza correre ulteriori rischi. Non sono inoltre certo che i comunisti erano pronti ad entrare nell’area di governo. Forse è stato il sequestro del presidente della DC a spingere i comunisti verso una decisione difficile. Ora che sono passati trent’anni e non ci sono più la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista, penso che il modo migliore di onorare la memoria di Aldo Moro sia quello di dare risposte attendibili ai dubbi che sussistono, chiudendo finalmente i conti col passato.

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Blog sempre più "frequentato, bene: l'apatia sembra stia scemando

di Francesca Busignani

“Volete che l’elettore in occasione delle elezioni politiche possa manifestare una unica preferenza per i candidati appartenenti alla lista prescelta? ” Il Referendum è fissato per domenica 16 marzo 2008 e per i promotori farà tremare il vecchio sistema delle “cordate” spinte dalla sinergia fra affari e politica. Affermano che, se approvato potrebbe tutelare i giovani capaci di ragionamenti ponderati. L’attuale sistema elettorale a 3 preferenze, dicono, punta prevalentemente sul voto estero che essendo meno informato del reale vissuto del Paese è più indirizzabile; con la preferenza unica il vecchio sistema scomparirà. C’è chi dice invece, i contrari, che con una sola preferenza ci sarà la riduzione delle opportunità dei giovani di entrare in Consiglio proprio perché molti ragazzi, pur con molti buoni propositi, non riusciranno a “sostenersi” in campagna elettorale. Asseriscono che i voti esteri o quelli pilotati interni esisteranno egualmente e quindi i volti nuovi saranno ancor più relegati alle “rimanenze”dei signori della politica. Continuano dicendo che non ci si deve illudere che la preferenza unica elimini questi signori, tutt’altro, i loro agganci e i loro posti di comando li renderanno ancora più forti perchè il divario di voti diverrà enorme rispetto ai novizi; solo quelli con famiglie potenti e ammanigliate potranno tentare delle mini cordate, rischiando di vedere instaurate in Consiglio mini oligarchie. Queste, grosso modo sono le due scuole di pensiero che dividono la Repubblica. La mia considerazione in merito è che chi veramente è propenso al bene del Paese ed è un volto nuovo, con la preferenza unica o con le tre preferenze, ha le stesse identiche possibilità di emergere come no. Mi spiego: purtroppo sia con l’una che con l’altra i favoriti saranno sempre quelli che siedono già sullo scranno del potere poiché essendo dei professionisti del settore sanno bene come muoversi in campagna elettorale dentro e fuori territorio, garantendosi un tot di voti. Siamo onesti, la vita reale non è quella dei telefilm e chi è ai vertici, avrà sempre e comunque più influenza e mezzi maggiori di chi tenta di emergere. Il politico navigato ha anche un altro grosso vantaggio: nel bene e nel male non è un incognita. Qui non si tratta di 1 o 3, qui si tratta di cambiare l’andamento generale di sfiducia del sistema politico del Paese. Se la certezza dell’intento di chi si candida, si riappropriasse dell’elettore, giustamente saturo di tutte le doppiezze commesse in questi anni, si voterebbe veramente in direzione del meritevole, novizio o esperto che sia, della persona volenterosa di scardinare un sistema afflitto da lotte intestine sterili e snervanti. Non è così, e non lo è perché essendo tutti giustamente sfiduciati chi non ha niente da perdere se ne frega, chi ha qualcosa sul piatto ha paura di perderlo, chi ha investito molto vuole raccoglierne i frutti e chi è avido vuole a prescindere. Entrare nel sistema per risanarlo da dentro, questo conta. Sicuramente, sia con 1, 3 o 100.000 preferenze, la difficoltà, per chi dietro di se a solo se stesso, la propria integrità e del sano ma non bigotto nazionalismo, è molto presente; d’altronde non tutti però hanno la forza di essere integerrimi condottieri. Certo asetticamente parlando 3 scelte sono meglio di 1: la pluralità è sempre sinonimo di libertà valutativa. In ogni caso tutti gli addetti ai lavori attendono con trepidazione l’esito di questo Referendum poiché essendo un salto nel buio nessuno sa con certezza come e se cambierà qualcosa. Questa è la percezione che una volta tanto accomuna tutti i politici.

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Referendum e Informazione Universitaria

di Annalisa Stacchini

Il direttivo di ATENEO (Associazione Sammarinese per la Cultura e l’Informazione Universitaria) invita tutti a non disertare le urne: il referendum di domenica è importante per il futuro del paese. L’Associazione Universitaria è e rimane apartitica, ma informare i giovani su questioni che li riguardano è uno dei suoi obiettivi irrinunciabili, inoltre, essendosi già occupata del problema del precariato, non se la sente di passare sotto silenzio un evento come quello di domenica.
Innanzitutto il referendum è uno dei tre preziosissimi istituti di democrazia diretta di San Marino, è fondamentale perché permette a tutti i cittadini di decidere senza mediazioni su un tema concreto. Ricordiamo che non andare a votare equivale in un certo senso a votare no, perché, per la validità del risultato, è necessario raggiungere un quorum (cioè una percentuale minima di votanti). A scanso di equivoci: trattandosi di referendum abrogativo, cioè che chiede se abolire o no determinati articoli di legge, votare no significa volere che le cose rimangano così come sono.
I quesiti che più interessano l’ATENEO sono quelli che riguardano l’abrogazione degli articoli 17 e 18, della legge 131 del 2005, sul precariato. Il direttivo ritiene che i giovani abbiano bisogno di certezze per il futuro, di un lavoro sicuro, stabile, che consenta loro di rendersi autonomi e formarsi una famiglia e che abbiano diritto di non doversi svegliare ogni mattina chiedendosi angosciati se il mese prossimo potranno guadagnarsi uno stipendio. Ovviamente nessuno pretende di avere un contratto a tempo indeterminato appena finiti gli studi, un periodo di impieghi flessibili è sicuramente utile per l’ingresso nel mondo del lavoro, ma non è possibile arrivare, come in Italia succede a molti, a 50 anni senza speranze di stabilità. I contratti co.co.pro. e il lavoro in affitto, su cui speculano le agenzie, non danno garanzie di riassunzione, non prevedono tredicesima, maternità, malattia né buona parte dei diritti dei lavoratori, conquistati con due secoli di dure lotte. La flessibilità, che il mercato del lavoro richiede, è conciliabile con le esigenze umane dei lavoratori solo qualora offra reali prospettive di stabilizzazione, possibilità d’ascesa professionale e favorisca la meritocrazia. Del resto esistono già, e nessuno li mette in discussione, contratti di lavoro in praticato a contenuto formativo, assunzioni in addestramento, contratti di inserimento lavorativo, lavori accessori e occasionali, contratti a tempo determinato, senza contare gli stages formativi e i tirocini.
Alcuni, tra cui i sindacati, sono contrari all’abrogazione degli articoli 17 e 18, perché prima che venissero promulgati diversi frontalieri erano sfruttati anarchicamente da agenzie e da alcuni imprenditori, senza possibilità di tutela legale o sindacale. La regolamentazione di questa prassi sbagliata e nociva è, a loro parere, un progresso, ma la rende giusta e benefica? L’autentico progresso non consiste forse nell’eliminarla finché è ancora un fenomeno circoscritto? O ci accorgeremo dei danni del precariato solo quando coinvolgeranno le vite di tutti?
Guardiamo all’esempio dell’Italia e non facciamoci ingannare dai numeri: da quando sono stati introdotti co.co.pro. e lavoro interinale i disoccupati sembrano diminuiti, ma nel novero dei non più disoccupati rientrano anche tutti quei precari che hanno un contratto per un mese o meno.
C’è chi propone di correggere i danni peggiori del precariato istituendo un sistema assistenziale, del tipo danese ad esempio, che garantisca un minimo mensile ai precari nei periodi di disoccupazione tra un impiego e l’altro. Ma perché pesare sulle casse dello stato, quando sarebbe possibile farne a meno? In fondo è un vantaggio anche per gli imprenditori assumere a tempo indeterminato dipendenti psicologicamente sereni e quindi più produttivi, che col tempo imparino tutti i meccanismi dell’azienda e ne abbiano a cuore il buon funzionamento. Quanto impegno sareste disposti ad investire in un lavoro che è vostro per qualche mese e di serie B, al paragone con quello dei vostri colleghi, garantiti da un contratto a tempo indeterminato? Forse il fatto più ingiusto del precariato è che nella medesima fabbrica o nel medesimo ufficio si trovano a svolgere le medesime mansioni due esseri ugualmente umani, ma uno è tutelato, l’altro poco meno che sfruttato.
Il direttivo ATENEO spera di aver fornito indicazioni utili perché ognuno si faccia una propria idea sulla questione e perché comprenda l’importanza di questo voto.

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giovedì 13 marzo 2008

Mandiamoli a casa!

di Erik Casali, Vice Segretario Nuovo Partito Socialista

Guardando lo schieramento del No alla preferenza unica si capisce che a difendere il fortino sono quelli che con una preferenza unica difficilmente sarebbero rieletti.
Sarà dura con la preferenza unica per molti di loro ricevere l’aiuto da qualche manovratore che non potrà più dirottare i voti sugli spingi-bottone che siedono in Consiglio e che tacciono quasi sempre su tutto.
Sarà difficile che in Consiglio ritornino coloro che nulla hanno fatto per le Antenne, pericolo per la ns salute e che sono ancora lì nonostante le oltre 4000 firme.
Sarà impossibile per chi va in Argentina a raccogliere 1000 voti che moltiplicati per 3 diventano 3000 preferenze, convogliare pacchetti di voti su chi non sarebbe mai eletto dai residenti.
Con la preferenza Unica anche dentro i partiti non decideranno più i padroni del voto, ma riprenderanno potere le idee, la capacità e l’onestà dei singoli.
Gli elettori non contenti di chi siede in Consiglio potranno mandare a casa quelli che se lo meriteranno, senza vederli rientrare dalla finestra, grazie alle preferenze pilotate.
L’eletto dovrà rispondere ai suoi elettori e non a chi gli ha procurato le preferenze
I giovani e le donne libere potranno entrare in Consiglio se lo vorranno gli elettori e non col benestare dei trafficoni di partito, ai quali servono invece giovani e donne facili da condizionare ai loro giochi di potere.
Con la preferenza unica anche i leader non potranno più coalizzarsi contro uno o contro quello e dovranno rimettersi in gioco.
Con la preferenza unica chi ha soldi compererà solo una preferenza anziché tre
Chi avrà dietro una grande famiglia o un organizzazione potrà spingere solo una persona e non tre come ora avviene.
Domenica 16 marzo votiamo Sì per rifondare il paese, per cambiare le cose.
Mandiamoli a casa!

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mercoledì 12 marzo 2008

Quelli che... non prendono una posizione chiara sul voto

di Remo Giancecchi - Membro del Gruppo di Coordinamento dei Democratici di Centro

Il 16 marzo saremo chiamati a decidere su quattro quesiti referendari, tre dei quali si riferiscono a problematiche riguardanti il lavoro e uno va modificare la legge elettorale approvata nel maggio 2007. Per quanto riguarda quelli in materia di lavoro, ritengo che accoglierli sarebbe un ritorno al passato e che si butterebbero al vento i difficili traguardi raggiunti in questi ultimi anni con difficoltà e scioperi dei lavoratori. Mentre, riferendomi al quarto, che è di valenza strettamente politica, lo vedo solo come una strumentalizzazione per mettere in difficoltà l’Esecutivo. Non ascoltate chi dice che la preferenza unica risolve il problema delle cordate e del voto estero: sono solo demagogie politiche. Chi ha molti voti potrà ugualmente aiutare altri ad essere eletti, perché il quorum è proporzionale alle preferenze che si possono dare e con unica possibilità ne bastano assai meno. Considerando poi che chi è già in Consiglio Grande e Generale, e conseguentemente nelle Commissioni decisionali più importanti, può avere molti più contatti con le persone rispetto ad un giovane che si avvicina per la prima volta al mondo politico, con la preferenza unica si rischia di non avere più un rinnovamento all’interno del Consiglio stesso. Se esisteva veramente la volontà di introdurre la preferenza unica c’era la possibilità di farlo qualche mese fa, quando è stata approvata la riforma elettorale. Perché non è stato fatto? Perché lo si fa soltanto ora, a distanza di neppure un anno, utilizzando lo strumento referendario e sperperando i soldi della collettività? Il referendum, dal mio punto di vista, non può essere utilizzato per fare politica nell’interesse di qualcuno, ma come strumento che consente ai cittadini di esprimersi su temi molto importanti che riguardano il nostro Paese e, quindi, loro stessi. Mi fanno poi sorridere i Partiti che non prendono una posizione chiara sul voto, affermando di rimettersi alla libera scelta dei cittadini. Cosa vuol dire? E’ chiaro che un cittadino vota come gli pare, ci mancherebbe altro! Ma un Partito deve sapere qual è la cosa migliore per il Paese, deve sapere quali sono le leggi che occorrono per andare nella giusta direzione e se un sistema è più o meno democratico dell’altro. Altrimenti vengono da porsi alcuni interrogativi sul loro grado di rappresentanza. Noi Democratici di Centro riteniamo di sapere quale dovrà essere la scelta più giusta. Può essere condivisa o meno, ma perlomeno abbiamo il coraggio di dirlo, senza calcoli di convenienza, perché al primo posto poniamo il bene Paese e successivamente quello del Movimento. In sostanza, chi si esprimerà con il “sì” sceglierà di conservare la classe politica attuale, senza alcuna possibilità di inserimento per i giovani; mentre invece, se vogliamo realmente cambiare e mandare a casa chi non fa il bene del Paese, il voto giusto è “no”.

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La prova d’amore..

di Erik Casali Vice Segretario Nuovo Partito Socialista

Con la dichiarazione contraria dei Democratici di Centro e degli Euro Popolari al referendum per la riduzione della preferenza unica non sfugge di certo all’occhio attento di chi fa politica quanto il loro no alla preferenza unica non corrisponda alla coerenza di chi è uscito dai partiti di appartenenza con l’intento di combattere il vecchio sistema, che tra le tante cose,prevede infatti che vengano eletti solo coloro che siano funzionali ai capi bastone, a chi controlla centinaia di preferenze.
Si intuisce che la posizione ufficiale contro il Sì alla preferenza unica di DDC ed EPS è dovuta in particolare a quanto chiesto loro dal PSD, grande manovratore, che è riuscito a farsi dare appoggio da entrambi, garantendo ai primi la permanenza al Governo e ai secondi un futuro ingresso nella moribonda maggioranza attuale, illudendoli con la promessa di allargamento di un governo qualsiasi, tanto basta esserci, destra, sinistra o centro sono solo dei particolari.
Pare prevalga il nobile intento che prima di tutto si debba sistemare i propri aderenti, magari grazie alla Commissione Urbanistica e tutto il peggio che ne deriva.
Il PSD ha chiesto una vera e propria promessa d’amore, ha offerto e promesso nonostante il parere contrario degli alleati di Governo, chissà quanto varrà un simile promessa!
Il PSD ha circuito abilmente i due partiti di area democristiana, i quali sono caduti nella trappola politica, perdendo di fatto l’iniziativa sul referendum, molto sentito dalla popolazione e trasversalmente da tutte le forze politiche, visto che nel comitato vi sono persone di tutti gli schieramenti compreso il PSD, tranne quelli dei DDC e degli Eps! Pensa te che birboni!
Li potrei capire se i loro dirigenti avessero fatto una carriera politica di primo piano, anzichè essere arrivati in Consiglio a traino dei pezzi da 90, ma così è un suicidio politico e morale!
Potrei capire se fossero proponenti di altre soluzioni, anziché sperare che tutto rimanga così, sperando di sopravvivere alla giornata, raccogliendo chi una Reggenza, chi un’ Ambasciata, chi una delibera milionaria.
Non dimentichiamo che uno di loro era il Reggente che la volta scorsa mandò i sammarinesi a votare per la preferenza unica il 3 agosto, vergogna unica di cui tutti si ricorderanno per un pezzo.
La prova d’amore richiesta dal Psd, e offerta prontamente dai due gruppi fuoriusciti dalla DC resta quindi solo una promessa da marinaio, un esca per gonzi a cui gente non abituata e metterci la faccia, a muoversi in prima persona, ha abboccato ingoiando esca, amo e lenza.
Se vincerà il SI come credo e spero, sarà oltremodo imbarazzante giustificarsi per quanti hanno combattuto il rinnovamento che passerà attraverso il Sì.
Se vincerà il Si, non so proprio come certuni riusciranno a trovare i voti e le preferenze per tornare in Consiglio, in ogni caso poco male, ci saremo liberati di chi non è in grado di dare aiuto a questo malmesso paese, che da loro non ha più niente da sperare.

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Ai cittadini la scelta del Paese da abitare

di Alessandro Corbelli - Partito Democratico sammarinese

Tutti noi al giorno d’oggi siamo nelle condizioni di capire come lo sviluppo economico non solo non sia in contrasto, ma possa e debba sposarsi con la qualità della vita. Troppo a lungo crescita economica e salvaguardia dell’ambiente, espansione urbanistica e tutela del patrimonio artistico, sono stati pensati come valori contrapposti, come se l’uno fosse una minaccia per l’altro.Invece, oggi abbiamo compreso che quei valori sono tali solo se promossi insieme. Lo sviluppo contro l’ambiente non è sviluppo. Ma anche viceversa: una difesa dell’ambiente che si riduca alla moltiplicazione di vincoli e veti contro la crescita è sterile e perdente. Un nuovo ambientalismo, un ambientalismo positivo, un “ambientalismo del fare”, come lo abbiamo chiamato, inserito in una nuova cultura della sostenibilità e della qualità della vita, può diventare un formidabile volano di sviluppo. Prendiamo il sole: non è solo un’alternativa al petrolio per la salute della Terra, ma uno dei principali traini della crescita di domani.Questa è la modernità che ci piace. Quella che unisce l’incremento del Pil alla qualità della vita e alla tutela della natura.In un mondo che si va facendo sempre più piccolo, nel quale miliardi di donne e uomini si vanno finalmente affacciando da protagonisti del nuovo contesto globale, San Marino può riservarsi un ruolo importante solo se saprà e vorrà nutrire l’ambizione di puntare al primato nello sviluppo di qualità. Il territorio e l’ambiente sono per tutti noi un patrimonio prezioso, da trasmettere integro e valorizzato alle prossime generazioni. La qualità della vita deve diventare il riferimento centrale delle grandi scelte sul futuro di San Marino, intorno alle quali costruire il vero progresso qualitativo ed economico.

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Sai perché è NO?

di Paola Casadei – Gruppo Giovani dei Democratici di Centro

La preferenza unica è il punto di partenza per la discriminazione delle donne e dei giovani in politica: questo è quanto! Vi pare esagerata come affermazione? Bene, io vi rispondo che è solo un dato di fatto. La realtà è sotto gli occhi tutti: sette sono le donne in Consiglio Grande e Generale, solo due di esse fanno parte del Congresso di Stato, e, senza addentrarmi in statistiche per quel che concerne l’età media dei Consiglieri, perché non lo ritengo né di buon gusto né necessario, i giovani sono una netta minoranza. Tutto questo avendo ancora la possibilità di poter scegliere più di una preferenza. Cosa potrà accadere se ogni elettore verrà costretto a scriverne solo una? Nella migliore delle ipotesi i numeri rimarrebbero questi, scarsi sia per le donne sia per i giovani, nella peggiore delle ipotesi andrebbero ulteriormente a calare. Purtroppo i numeri e le statistiche non mentono, come invece possono fare le parole, che spesso vengono usate per illudere: le 3 preferenze, anche se in maniera meno rilevante rispetto alle 6 di un tempo, danno la possibilità di poter spalmare voti anche su chi si è avvicinato alla politica da poco. Il problema è proprio questo: la preferenza unica convoglierà i voti, soprattutto di quei cittadini un po’ meno attenti ai risvolti politici di San Marino, verso candidati che già sono ben conosciuti in territorio (e non solo), membri di spicco di partiti e di istituzioni, bloccando così il ricambio generazionale che tutti auspicano. Votare “si” a questo referendum propositivo significa votare per il mancato raggiungimento dell’obiettivo, condiviso dagli organismi mondiali, di rendere i giovani protagonisti attivi della politica locale e internazione e schierarsi in favore del consolidamento di una casta politica che diverrebbe ancora più intoccabile. Da donna e da giovane spero che i cittadini possano condividere con me il “no” a questo referendum, lasciando le “cordate” agli alpinisti impegnati a scalare montagne un po’ più impervie del nostro Titano.

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martedì 11 marzo 2008

“Scala Mobile? No, grazie!”

di Guerrino Zanotti (PSD)



Più passa il tempo e più mi convinco che le vere ragioni politiche dei referendum sul lavoro, vadano ricercate oltre il contenuto dei tre quesiti referendari. In effetti i comunicati dei Comitati Referendari hanno riscoperto un linguaggio sindacale, ormai abbandonato da anni, che di riporta ai tempi della lotta di classe. Padroni, sempre più potenti, che ingrassano alle spalle degli operai, ecc.
Diciamo che, in altri termini ed in particolare in questi ultimi anni, il problema è comunque reale: le retribuzioni dei lavoratori dipendenti perdono progressivamente il loro potere d’acquisto rispetto all’inflazione percepita. Ma la soluzione al problema, prospettata dai referendari qual è? La reintroduzione della scala mobile.
Dati alla mano, la soluzione proposta non è in grado di dare risposta al problema. Negli ultimi 15 anni, grazie all’attuale modello contrattuale, le retribuzioni hanno avuto un aumento che va ben oltre il tasso di inflazione ufficiale dello stesso periodo. La contrattazione offre la possibilità di agire su aumenti retributivi in maniera differenziata, a tutela delle fasce di reddito più basse. Inoltre con la reintroduzione della scala mobile, a mio parere, si rischia di indebolire la forza contrattuale dei lavoratori.
Stupisce che, conoscitori della realtà sammarinese e del mondo del lavoro, quali sono i promotori dei referendum, partendo da un problema reale, come quello dell’impoverimento dei lavoratori dipendenti, propongano, quale soluzione, la reintroduzione della scala mobile. In considerazione, tra l’altro, che il tasso di inflazione ufficiale applicato per il 2008, quello utilizzato per l’adeguamento delle pensioni, è pari all’1,7% e non del 4%.
Tuttavia votare no al referendum sulla scala mobile non risolve il problema, che pure esiste. E’ necessario, quindi, impegnarsi all’attuazione di misure, che vanno dal varo di una riforma fiscale responsabile, che sia in grado di fare pagare le tasse a chi fino ad oggi non ha contribuito per le proprie capacità, una politica sociale che sostenga economicamente le famiglie più bisognose, come peraltro si è cercato di fare in questi ultimi due anni ed una seria politica dei prezzi, per impedire che l’inflazione, quella percepita, continui ad erodere le retribuzioni dei lavoratori.
E’ da queste considerazioni che parte il mio invito a votare no al referendum sulla scala mobile, per non lasciare che si facciano passi indietro sul terreno dei diritti dei lavoratori e si cominci a lavorare su soluzioni più aderenti alle reali necessità dei lavoratori.

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Preferenza unica: una opportunità di cambiamento

di Paolo Forcellini

Molti sono stati i "pistolotti" di questo o quel personaggio politico sul quesito referendario sulla Preferenza Unica. Di inesattezze, volute e non, se ne sono sentite tante ... molte, soprattutto da coloro che stanno tentando di convincere gli elettori per un NO , cioè di lasciare le cose come stanno. Un fatto è certo. La prefreenza unica non sarà la panacea di tutti i mali, ma certamente con la sua introduzione nel sistema elettorale nostrano ,qualche cosa cambierà per i candidati alle lezioni politiche. E poichè di cambiamento ne parlano tutti da tempo, e se ne sente la necessità dopo le ultime tornate elettorali, ecco che quando si presenta una opportunità molti cominciano ad aver paura . Inutile quì ricordare i motivi per cui i cittadini dovranno dire SI. Inutile ripetersi, se non si vuole, nonostante i proclami elettorali , cambiare il sistema, tutto tempo perso.Certo che un cambiamento lo hanno fatto. E che cambiamento! Il regolamento del Consiglio Gtrande e Generale, dove siedono Consiglieri non votati dal popolo e dove ad ogni crisi di Governo c'é chi va e c'é chi viene . Se questo è il cambiamento che intendono alcuni, meglio allora lasciar perdere. La preferenza unica resta comunque una opportunità. Una grande opportunità Fortunatamente , secondo i sondaggi, molti sono i cittadini che non se la lasceranno sfuggire , perchè , a differenza di quelli lassù, non hanno nulla da perdere .Per cui ben venga una preferenza unica, se questa si dimostra un segnale di cambiamento di un certo modo di far politica.

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lunedì 10 marzo 2008

Referendum sul lavoro: una scelta di civiltà

Paolo Giovagnoli - Rifondazione Comunista Sammarinese

Un elemento preoccupante della moderna realtà sociale è l’aumento della povertà, un fenomeno che coinvolge tutti i paesi capitalisti. Mentre la classe lavoratrice continua a stringere la cinghia (e non potrebbe fare diversamente di fronte ai continui aumenti dei prezzi dei generi alimentari, delle bollette di luce, acqua, gas, della benzina, dei mutui o degli affitti da pagare) gli stipendi dei lavoratori valgono sempre di meno. La società è sempre più divisa tra coloro che guadagnano troppo e coloro che guadagnano troppo poco. Mentre i capitalisti si crogiolano nei lauti profitti c’è una parte non indifferente della società civile e del lavoro meno protetta che arranca e fa sempre più fatica ad arrivare alla fine del mese. I giovani avviati all’attività lavorativa hanno ben poche prospettive per crearsi un futuro e una famiglia quando devono subire contratti di lavoro a tempo determinato o addirittura in affitto (interinale). I giovani che escono dalle scuole con un titolo di studio, non solo in molti casi non trovano un lavoro relativo a ciò di cui avrebbero le competenze, ma finiscono pure per doversi u miliare in un lavoro precario.
Allora non servono solo infrastrutture e servizi più moderni, non solo un disegno di politica industriale che determini migliori condizioni, prima di tutto bisogna intervenire per combattere il male della precarietà fino in fondo, perché il sogno di ogni genitore e di ogni figlio non è un orizzonte di precarietà e di nomadismo lavorativo. Dobbiamo sapere difendere e fare crescere un’idea che non riguarda soltanto un conflitto di classe generazionale, ma di una grande battaglia civile che elevi il livello delle garanzie sociali e lavorative. Occorre combattere chi vuole la distruzione dei servizi pubblici, la privatizzazione/aziendalizzazione delle scuole, della sanità, dei trasporti, contro chi vuole lo smantellamento delle pensioni, la sottrazione del TFR e coloro che sostengono la “funzionalità” del lavoro precario. Nei lavoratori la percezioni dell’assenza di un futuro è molto forte. Tuttavia la politica non dà risposte in controtendenza, anzi la politica è complice in questo sistema. Con alcune eccezioni della sinistra radicale o della “destra sociale” la maggior parte dei partiti moderati si sono precipitati a sconfessare il contenuto dei referendum sociali sul lavoro, invitando i cittadini a votare no. Avremmo preferito ci fosse risparmiato lo spettacolo di uomini politici o di governo che in un tale momento sopra tale materia si erigessero a difesa dello status quo. Perché nessuno di loro poteva avere tanta certezza, poiché nessuno di loro ha un contratto di lavoro interinale e nessuno di loro per lavorare è costretto a rivolgersi alle ahimé famose agenzie di lavoro interinale. In questa vicenda c’è una più che apparente coesione tra il padronato, sindacalisti e forze politiche moderate. Tutti sostengono le ragioni del no ai referendum sul lavoro e scala mobile. Molti sostengono che se vincono i sì ai referendum sul lavoro si ritornerebbe all’illegalità e all’assenza di regole e tutele per i lavoratori (avvertimento o minaccia?). Ma l’assunzione di un lavoratore con contratto di lavoro a tempo indeterminato, invece del co.co.pro o del lavoro in affitto è di per sé una condizione di maggiore civiltà oppure no? La garanzia della reintroduzione per legge della scala mobile non preclude nessuna ulteriore contrattazione tra le parti e soprattutto eviterebbe il ripetersi di contratti a «costo zero».
Il dibattito che riproduciamo attorno ai referendum ha la funzione di fare conoscere temi importanti per il futuro del mondo del lavoro. Auspico che la discussione sia produttiva, la partecipazione al voto ampia e che vincano i SÌ.

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Conservare le tre preferenze in una democrazia più matura

di Giuseppe Morganti

La ricerca di una “democrazia normale”, questo è il nesso profondo della scelta che siamo chiamati a fare domenica prossima quando ci esprimeremo sulla riduzione delle preferenze. Chi è pessimista e ritiene che la politica abbia fallito, preferisce limitare i poteri della democrazia, piuttosto che lasciarli gestire ad una classe politica che giudica ormai del tutto inadeguata. Io propongo un atteggiamento più ottimista, anche se sono consapevole dei rischi che ciò comporta. Nell’aprile 2007 finalmente il nostro Paese si è dotato di una legge elettorale all’avanguardia, capace di interpretare il cambiamento nei rapporti di rappresentanza. Con la nuova legge il potere dei partiti diminuisce sostanzialmente. Quel potere viene infatti riconsegnato agli elettori, così ché la democrazia torna a respirare adeguatamente. Non è ancora una democrazia perfetta, ma di certo il controllo degli elettori sul governo aumenta in modo esponenziale. L’azione dei partiti, con la nuova legge, verrà finalmente giudicata sulla base dei programmi e della capacità di realizzarli e non più sul principio, utile un tempo ma ormai del tutto sterile, dell’appartenenza ideologica o peggio della convenienza individuale. Di fatto le elezioni diventeranno una sorta di referendum che promuove o boccia una maggioranza, che premia o punisce un progetto. Sappiamo bene che il grado di indipendenza e di coscienza che guida l’elettore quando partecipa ad un referendum è molto più elevato di quando partecipa all’elezione del Consiglio Grande e Generale. Ritengo che San Marino sia vicino a riconquistare una democrazia normale, quella che magnificamente viene tradotta col termine di “Democrazia dell’Alternanza”. Per questo motivo personalmente opto affinché gli elettori possano conservare in pieno il proprio diritto ad esprimere una scelta più ampia di preferenze, perché ho fiducia nella maturità che il nuovo sistema potrà indurre in tutto l’elettorato anche in quello meno consapevole e più facilmente gestibile. Esprimere tre preferenze alle prossime elezioni, grazie alla nuova legge elettorale, riduce il rischio di eleggere un parlamento voluto solo da pochi (cordate). Caso mai è proprio il contrario, la preferenza unica personalizzando la politica, da alle lobby il potere del controllo totale su un numero ampio di parlamentari e questo rappresenterebbe la morte della democrazia.

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Referendum scala mobile, le ragioni del No

di Orazio Mazza - Presidente dell’Assemblea dei Democratici di Centro

Per comprendere appieno le ragioni di un “no” al quesito referendario sulla scala mobile credo sia bene riassumere brevemente le motivazioni e i meccanismi che, in passato, hanno portato all’introduzione di un sistema che, fino agli anni ’90, ha prodotto l’aggiornamento automatico delle retribuzioni da lavoro dipendente rispetto all’aumento del costo della vita. La scala mobile veniva calcolata seguendo l’andamento variabile dei prezzi di particolari beni di consumo (paniere). L’automatismo è stato applicato all’aggiornamento dei salari per un certo numero di anni, fino a quando fu evidente che esso andava a produrre ulteriore inflazione in una rincorsa senza fine, per le ragioni che cercherò di spiegare. La scala mobile, infatti, non teneva conto del più importante fattore dell’economia, o, per meglio dire, di quel parametro che riassume tutti gli altri nella valutazione dell’economia di un Paese: il PIL, che è il valore aggiunto per le aziende, oppure, in termini equivalenti: l’aumento della produttività del valore. La misura della produttività è valutata in base all’utile operativo dell’operatore e non in base al fatturato. Un adeguamento salariale che tenga conto del fattore inflattivo, al di sopra della produttività, è causa di ulteriore inflazione. Se poi questo adeguamento deriva da una consequenziale riduzione degli utili aziendali, ovvero da un drenaggio di risorse dalle imprese ai dipendenti, porta non solo ad un aumento inflattivo, ma anche ad un progressivo depauperamento dell’azienda, che non avrà più sufficienti risorse per sviluppare e ammodernare. Cioè per crescere! D’altro canto, se l’utile rimane invariato si produce una crescita della moneta messa in circolazione che non è congrua con la crescita della ricchezza prodotta. Da tutto questo si va a generare una spirale inflazionistica. Se invece si ha un aumento dei salari - perché no? - anche al di sopra dell’inflazione, come negli anni ‘90 e nei primi anni 2000, purché entro la crescita della ricchezza nazionale, questo diventa una redistribuzione al lavoro dipendente degli utili della produttività. Detto questo si deduce quali possano essere le ragioni dell’economia per dire “no” al referendum che mira a reintrodurre la scala mobile. Ragioni che hanno ben compreso anche le Organizzazioni Sindacali. La logica ispiratrice del quesito referendario è quella di contrapporre gli aumenti salariali ad una riduzione degli utili aziendali. Se l’economia, e quindi il PIL (produttività), cresce poco, l’operazione scala mobile si traduce in un semplice travaso di risorse, con il risultato di indebolire le aziende. Se la crescita del PIL e della produttività è sostenuta, crescono sia gli utili aziendali sia i salari. E’ per queste considerazioni che si è arrivati, nel recente passato, all’abolizione della scala mobile e a introdurre i meccanismi della contrattazione settoriale, tenendo conto del fatto che non tutti i settori crescono e producono allo stesso modo. Ora è evidente che esistono particolari situazioni di lavoratori dipendenti che, per specifiche condizioni familiari, esistenziali, congiunturali, non riescono con gli aumenti contrattuali a far fronte agli aumenti in atto. Problematiche, queste, che sono sempre più presenti in quelle famiglie monoreddito o in quelle dove particolari problemi di assistenza, accompagnamento, malattia o quant’altro mettono in grossa difficoltà coloro che vi incappano. A queste situazioni dovrebbero far fronte quei sistemi che il nostro Stato ha messo in atto già da molti anni, che però, a mio parere, non sono sufficientemente equilibrativi e ben distribuiti: parlo degli ammortizzatori sociali. Tariffe agevolate per prestazione di servizi o per erogazione di utenze per famiglie al di sotto di un certo reddito (riforma fiscale? controllo delle residenze? E non solo!). Sempre per chi è al di sotto di un certo reddito lo Stato potrebbe rinunciare a parte delle accise sui carburanti o ad un aumento della quota produzione reddito, da detrarre dalle imposte. Miglior utilizzo ed equilibrio nella gestione dei fondi per i servizi sociali: è congruo un pasto in mensa a 2,10 € quando ci sono centinaia di famiglie che attendono per mesi un posto all’asilo nido o pagano profumatamente una badante pur di non abbandonare l’anziano alla struttura pubblica - che pure costa - o hanno necessità di accudire l’handicap che hanno in casa? Questi sono solo alcuni esempi di come si potrebbe intervenire sugli aumenti dei generi di prima necessità. Serve la volontà di mettersi attorno ad un tavolo: politica, Organizzazioni Sindacali, Associazioni di categoria o del volontariato, per ricercare la soluzione più congrua e affrontare e risolvere, anche in parte, le problematiche inerenti l’aumento del costo della vita. La scala mobile indiscriminatamente dà e concede a tutti senza distinzioni. E’ anche per questo che bisogna votare “no”.

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venerdì 7 marzo 2008

Pazienza e umiltà

Ogni tanto bisogna avere la pazienza e l’umiltà di fermarsi a riflettere sulla nostra modesta condizione. Mi riferisco all’informazione locale, in particolare ai quotidiani di San Marino. L’aver deciso di realizzare ormai quasi tre anni fa SMNotizie, che altro non è che una rassegna stampa locale selezionata cui si aggiungono i comunicati stampa ufficiali ed i liberi commenti di alcuni lettori, ci offre un punto d’osservazione molto privilegiato sulla qualità del prodotto informativo locale.
Non intendiamo esprimere giudizi, ma solo offrire a questa paziente ed umile riflessione alcune considerazioni, partendo dall’eloquente caso delle copertine dei giornali di ieri. Ecco i titoli principali delle prime pagine:

MILIONI DI EURO NEI CONTI DEI POLITICI SAMMARINESI
[Con fotonotizia (sic!) di mazzette di denaro]

“SUL TITANO INVESTIMENTI DELLA ‘NDRANGHETA”
Il direttore dell’Antimafia di Reggio Calabria avverte: “Surplus di immobili saranno oggetto di verifica”

IN BUONI RAPPORTI
[Con alcune foto di Stolfi con D’Alema, Bacciocchi con Parrello e Riccardi con Zanichelli]


Siamo, purtroppo, abbastanza abituati a vedere in alcune prime pagine le foto di cassonetti bruciati, cani che mordono, gattini abbandonati e motorini scivolati sull’asfalto (magari fortunatamente senza alcun danno per il pilota), e capiamo che la cronaca locale è troppo spesso avara di fatti eclatanti (e per fortuna, diremo tutti noi), mentre i giornali devono riempire “comunque” le loro pagine. E passi; con pazienza ed umiltà ogni lettore è disposto a pagare questo prezzo per garantirsi un po’ di notizie locali in più ed una pluralità dell’informazione.
E poi ci sono le giornate come quella di ieri, in cui ogni giornale sceglie di aprire con una notizia diversa, data con la stessa evidenza grafica e fotografica, in tutti e tre i casi.
Il primo titolo che analizziamo (sui milioni depositati dai nostri politici in Liechtenstein), che attira davvero la curiosità di ogni lettore attento, rimanda direttamente ad un articolo all’interno, il quale si presenta con un’altra foto di mazzette ed una modestissima mezza colonna di una trentina di righe, dove le parole chiave, più volte ripetute sono: “pare che”, “sembrerebbe che”, “si parla di”, e dove i condizionali sostituiscono tutti gli indicativi, contravvenendo almeno ad una delle principali regole del giornalismo serio ed affidabile: eliminare tutti i “pare, sembra, si dice” e non usare mai i verbi al condizionale. Ma notiamo che su questa testata, invece, l’uso di questa coniugazione e di questi verbi è assai frequente e ripetuta.
Nel secondo titolo, invece, si sceglie di far leva sulla curiosità del lettore attraverso la frase virgolettata, che dovrebbe indicare una citazione e che provenendo dal direttore dell’antimafia di Reggio Calabria induce all’approfondimento. Così nella pagina interna si propone un’intervista, dalla quale alle insistenti domande del giornalista che pressa il suo interlocutore sulla possibilità di individuare un collegamento fra il surplus di edifici sfitti a San Marino e gli investimenti della mafia italiana, il saggio direttore non si fa sfuggire alcun commento compromettente, se non una frase del tutto priva di riferimenti oggettivi al nostro territorio ed alla sua eccessiva edificazione, ma molto più verosimilmente riferita al territorio italiano, unico su cui egli abbia una qualche competenza e giurisdizione, frase che per altro viene sibillinamente proposta come sottotitolo in prima pagina.
Finalmente veniamo al terzo titolo: molto laconico, che contiene non solo la notizia ma anche un implicito e sottinteso commento su un certo ‘disgelo’ nei rapporti che stanno nuovamente instaurandosi fra le repubbliche italiana e sammarinese, attraverso una serie di accordi bilaterali di una certa rilevanza, mostrati anche dalle immagini delle firme.
Effettivamente, a noi osservatori attenti dell’informazione, quest’ultima pareva l’unica vera notizia del giorno, che avrebbe meritato non solo la copertina ma anche un adeguato approfondimento interno. E non certo perché si debba fare da eco all’azione di governo (il quale sa farsi sufficientemente eco da solo, mentre alle ‘veline’ ufficiali ci pensa già RTV), ma perché questa era una notizia reale, cioè un fatto accaduto realmente e comprovato da dichiarazioni ufficiali ed immagini fotografiche, e che ha una rilevanza indubitabile sulla vita dei cittadini sammarinesi. E questo servizio è stato proposto, ieri, da un solo giornale su tre.
A onor del vero, il titolo del secondo giornale era accompagnato anche da un titolo di spalla che faceva riferimento, ma in modo assai meno rilevante, agli accordi suddetti. Ma anche la gerarchia di importanza che si dà ai titoli di prima pagina indica una scelta editoriale molto esplicita ed evidente a tutti i lettori.
Come abbiamo detto in apertura, non abbiamo nessuna intenzione di dare giudizi: non ce ne sentiamo né autorizzati né richiesti. Ciascun direttore e ciascuna redazione sceglie la propria linea editoriale e la propria strategia utile alle vendite. Ma, con pazienza ed umiltà, dal nostro osservatorio privilegiato ci piace riflettere e ragionare, augurandoci una crescita della qualità (e non solo della quantità) dell’informazione locale. Il sensazionalismo e lo scandalismo fanno di una testata quello che gli inglesi amano definire un modesto giornale tabloid: a ciascun quotidiano la scelta del proprio indirizzo, a ciascun lettore la scelta del proprio giornale preferito.

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Cara AP, mi spiace ma non condivido

di Giorgio Giovagnoli

Sono un semplice simpatizzante ed aderente di A.P., senza alcun ruolo politico se non quello di potere esprimere il mio parere e quando serve il mio voto nelle assemblee degli aderenti che, comunque nel movimento e per statuto, sono decisive nelle decisioni politiche fondamentali.
Proprio questo mio ininfluente ruolo mi rende libero in assoluto di poter esprimere senza remore la mia non condivisione per la decisione che a maggioranza è stata presa dall’assemblea rispetto allo schierarsi per il NO nei tre referendum sul lavoro.
Considero la presa di posizione ovviamente legittima e come detto anche democratica, ma penso che in molti abbia prevalso il senso della opportunità politica piuttosto che quello della valutazione piena del merito della questione.
Poi guardandomi attorno vedo che anche il più grande partito della sinistra (pur se moderata e “riformista”) e le organizzazioni sindacali (contraddicendo precedenti posizioni) sono sostanzialmente d’accordo con le associazioni degli imprenditori e con altri partiti politici di diversa estrazione nell’indicare lo stesso percorso di negazione, per cui devo prendere atto che non si tratta di una questione ideologica o di diverse visioni di futuro ma di una “concomitanza di interessi diversi e contingenti” che portano tutti nella stessa direzione.
Lungi da me l’idea di volermi sostituire ai rappresentanti dei comitati promotori nel sostenere le ragioni del Si, se la cavano benissimo da soli, io posso solo aggiungere che da ex sindacalista epurato dalla CSdL, conosco abbastanza bene il problema e la questione e credo di essere in grado di esprimere un giudizio che non può che essere all’opposto di quello delle due confederazioni sindacali alle quali invece addebito la responsabilità (assieme ai politici che hanno dato le iniziali autorizzazioni) di aver prima consentito, poi sopportato e non abbastanza contrastato, infine accettato tramite accordi diretti nelle aziende, la nascita e la diffusione strisciante di questi fenomeni per poi alla fine, al momento della loro grande e incontrollabile espansione, fingersi gli eroi della situazione nel voler regolamentare, legittimare e legalizzare ciò che sin dall’inizio era irregolare, illegittimo e illegale, facendo pagare il tutto a lavoratori inconsapevoli.
È lo stesso identico percorso che intendono fare con l’outsourcing (esternalizzazione di parti di produzione da svolgere all’interno dell’azienda) che è un vero e proprio paradosso e che è l’ultima invenzione gestionale che, assieme, i tre compari della “flessibilità”(imprenditori, politici e sindacati) hanno brevettato per sostituire il lavoro interinale, che in qualche modo era stato ridimensionato e reso meno conveniente e prolungabile nei tempi, con una nuova tipologia di lavoro per altro svolto alternativamente dagli stessi lavoratori e che ha il vantaggio di eludere le statistiche. Abbiamo sentita espressa questa volontà di futura regolamentazione direttamente dalla voce del capogruppo Psd Felici in un recente dibattito televisivo; già prima la CSdL l’aveva scritto nella sua surreale proposta di modifica della legge sul lavoro, menzionata nella stessa sede da Giovanni Ghiotti nella quale sostanzialmente e ipocritamente si è solo venduto fumo (cambiare tutto per non cambiare nulla) visto che venivano praticamente confermati, solo cambiati di numero, tutti gli articoli più contestabili della legge precedente con l’aggiunta, come in questo caso, di altre soluzioni altrettanto preoccupanti e pericolose con il solo dolcificante di benevole e non si sa quanto praticabili richieste di ammortizzatori e formazione continua, peraltro sicuramente necessari.
Ovviamente il circolo vizioso potrà continuare all’infinito facendo sì che contestualmente ad ogni regolamentazione si creino le condizioni per la successiva e così via precarizzando.
Il nostro paese contiene, all’interno del settore privato, quasi il 40% di lavoro proveniente dall’esterno (non solo frontaliero) e quindi già di per se flessibile in quanto sottoposto a continui permessi di lavoro a tempo determinato, anche a brevissimo termine e sempre da rinnovare.
Quindi la nuova regola dovrebbe essere che, ogni qualvolta vengano indebitamente inseriti elementi di flessibilità precarizzante in un piccolo paese come il nostro che già ne contiene tanta, come detto prima, questi fenomeni vadano combattuti e impediti così come il lavoro nero e sommerso, non regolamentati e/o legalizzati.
E non si venga a dire che così facendo si lascerebbe spazio ad ulteriore lavoro nero perché in un piccolo paese come il nostro i controlli anti-sommerso si potrebbero fare facilmente ed efficacemente, sarebbe sufficiente volerli fare sul serio, nei modi e nei tempi dovuti e soprattutto accompagnati da sanzioni vere, pesanti e con valore di deterrenza .
Non vale neppure ed è solo opportunistico paragonarsi continuamente a quanto fanno paesi attorno a noi affermando che la nostra legislazione è comunque più garantista rispetto ad altre (vedi legge 30 in Italia), perché nessun paese ha già una flessibilità strutturale di queste dimensioni. Quindi la nostra Repubblica non ha bisogno di altre iniezioni di flessibilità-precarietà che, ricordiamolo, una volta inserite valgono anche per i lavoratori sammarinesi con tutte le conseguenze che specialmente i nostri giovani già cominciano a sperimentare anche se non risulta nelle statistiche e nei numeri che vengono comunicati non si sa con quale veridicità.
Un ultima amara considerazione: se le nostre aziende hanno veramente assoluto bisogno di questa ulteriore precarietà per essere competitive nel mercato globalizzato, significa che la nostra economia è alla frutta e destinata all’esaurimento per morte naturale, per cui sarebbe meglio che la nostra politica si preoccupasse di costruire una nuova economia più moderna e competitiva per qualità e valore aggiunto, invece di occuparsi di posizionamenti di retroguardia.
Per tutto quanto detto vorrei dissociarmi dalla posizione assunta dal mio partito di riferimento e invitare tutti gli elettori che condividono questi pensieri e queste considerazioni ad ANDARE A VOTARE E VOTARE SI ai tre quesiti referendari che riguardano il lavoro, compreso quello sull’annuale adeguamento automatico degli stipendi al costo della vita di cui non ho parlato per mancanza di spazio e perché l’esigenza mi sembra talmente logica e necessaria da far risultare superfluo il discuterne.
Giorgio Giovagnoli

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