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venerdì 7 marzo 2008

Cara AP, mi spiace ma non condivido

di Giorgio Giovagnoli

Sono un semplice simpatizzante ed aderente di A.P., senza alcun ruolo politico se non quello di potere esprimere il mio parere e quando serve il mio voto nelle assemblee degli aderenti che, comunque nel movimento e per statuto, sono decisive nelle decisioni politiche fondamentali.
Proprio questo mio ininfluente ruolo mi rende libero in assoluto di poter esprimere senza remore la mia non condivisione per la decisione che a maggioranza è stata presa dall’assemblea rispetto allo schierarsi per il NO nei tre referendum sul lavoro.
Considero la presa di posizione ovviamente legittima e come detto anche democratica, ma penso che in molti abbia prevalso il senso della opportunità politica piuttosto che quello della valutazione piena del merito della questione.
Poi guardandomi attorno vedo che anche il più grande partito della sinistra (pur se moderata e “riformista”) e le organizzazioni sindacali (contraddicendo precedenti posizioni) sono sostanzialmente d’accordo con le associazioni degli imprenditori e con altri partiti politici di diversa estrazione nell’indicare lo stesso percorso di negazione, per cui devo prendere atto che non si tratta di una questione ideologica o di diverse visioni di futuro ma di una “concomitanza di interessi diversi e contingenti” che portano tutti nella stessa direzione.
Lungi da me l’idea di volermi sostituire ai rappresentanti dei comitati promotori nel sostenere le ragioni del Si, se la cavano benissimo da soli, io posso solo aggiungere che da ex sindacalista epurato dalla CSdL, conosco abbastanza bene il problema e la questione e credo di essere in grado di esprimere un giudizio che non può che essere all’opposto di quello delle due confederazioni sindacali alle quali invece addebito la responsabilità (assieme ai politici che hanno dato le iniziali autorizzazioni) di aver prima consentito, poi sopportato e non abbastanza contrastato, infine accettato tramite accordi diretti nelle aziende, la nascita e la diffusione strisciante di questi fenomeni per poi alla fine, al momento della loro grande e incontrollabile espansione, fingersi gli eroi della situazione nel voler regolamentare, legittimare e legalizzare ciò che sin dall’inizio era irregolare, illegittimo e illegale, facendo pagare il tutto a lavoratori inconsapevoli.
È lo stesso identico percorso che intendono fare con l’outsourcing (esternalizzazione di parti di produzione da svolgere all’interno dell’azienda) che è un vero e proprio paradosso e che è l’ultima invenzione gestionale che, assieme, i tre compari della “flessibilità”(imprenditori, politici e sindacati) hanno brevettato per sostituire il lavoro interinale, che in qualche modo era stato ridimensionato e reso meno conveniente e prolungabile nei tempi, con una nuova tipologia di lavoro per altro svolto alternativamente dagli stessi lavoratori e che ha il vantaggio di eludere le statistiche. Abbiamo sentita espressa questa volontà di futura regolamentazione direttamente dalla voce del capogruppo Psd Felici in un recente dibattito televisivo; già prima la CSdL l’aveva scritto nella sua surreale proposta di modifica della legge sul lavoro, menzionata nella stessa sede da Giovanni Ghiotti nella quale sostanzialmente e ipocritamente si è solo venduto fumo (cambiare tutto per non cambiare nulla) visto che venivano praticamente confermati, solo cambiati di numero, tutti gli articoli più contestabili della legge precedente con l’aggiunta, come in questo caso, di altre soluzioni altrettanto preoccupanti e pericolose con il solo dolcificante di benevole e non si sa quanto praticabili richieste di ammortizzatori e formazione continua, peraltro sicuramente necessari.
Ovviamente il circolo vizioso potrà continuare all’infinito facendo sì che contestualmente ad ogni regolamentazione si creino le condizioni per la successiva e così via precarizzando.
Il nostro paese contiene, all’interno del settore privato, quasi il 40% di lavoro proveniente dall’esterno (non solo frontaliero) e quindi già di per se flessibile in quanto sottoposto a continui permessi di lavoro a tempo determinato, anche a brevissimo termine e sempre da rinnovare.
Quindi la nuova regola dovrebbe essere che, ogni qualvolta vengano indebitamente inseriti elementi di flessibilità precarizzante in un piccolo paese come il nostro che già ne contiene tanta, come detto prima, questi fenomeni vadano combattuti e impediti così come il lavoro nero e sommerso, non regolamentati e/o legalizzati.
E non si venga a dire che così facendo si lascerebbe spazio ad ulteriore lavoro nero perché in un piccolo paese come il nostro i controlli anti-sommerso si potrebbero fare facilmente ed efficacemente, sarebbe sufficiente volerli fare sul serio, nei modi e nei tempi dovuti e soprattutto accompagnati da sanzioni vere, pesanti e con valore di deterrenza .
Non vale neppure ed è solo opportunistico paragonarsi continuamente a quanto fanno paesi attorno a noi affermando che la nostra legislazione è comunque più garantista rispetto ad altre (vedi legge 30 in Italia), perché nessun paese ha già una flessibilità strutturale di queste dimensioni. Quindi la nostra Repubblica non ha bisogno di altre iniezioni di flessibilità-precarietà che, ricordiamolo, una volta inserite valgono anche per i lavoratori sammarinesi con tutte le conseguenze che specialmente i nostri giovani già cominciano a sperimentare anche se non risulta nelle statistiche e nei numeri che vengono comunicati non si sa con quale veridicità.
Un ultima amara considerazione: se le nostre aziende hanno veramente assoluto bisogno di questa ulteriore precarietà per essere competitive nel mercato globalizzato, significa che la nostra economia è alla frutta e destinata all’esaurimento per morte naturale, per cui sarebbe meglio che la nostra politica si preoccupasse di costruire una nuova economia più moderna e competitiva per qualità e valore aggiunto, invece di occuparsi di posizionamenti di retroguardia.
Per tutto quanto detto vorrei dissociarmi dalla posizione assunta dal mio partito di riferimento e invitare tutti gli elettori che condividono questi pensieri e queste considerazioni ad ANDARE A VOTARE E VOTARE SI ai tre quesiti referendari che riguardano il lavoro, compreso quello sull’annuale adeguamento automatico degli stipendi al costo della vita di cui non ho parlato per mancanza di spazio e perché l’esigenza mi sembra talmente logica e necessaria da far risultare superfluo il discuterne.
Giorgio Giovagnoli

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