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venerdì 14 marzo 2008

Referendum e Informazione Universitaria

di Annalisa Stacchini

Il direttivo di ATENEO (Associazione Sammarinese per la Cultura e l’Informazione Universitaria) invita tutti a non disertare le urne: il referendum di domenica è importante per il futuro del paese. L’Associazione Universitaria è e rimane apartitica, ma informare i giovani su questioni che li riguardano è uno dei suoi obiettivi irrinunciabili, inoltre, essendosi già occupata del problema del precariato, non se la sente di passare sotto silenzio un evento come quello di domenica.
Innanzitutto il referendum è uno dei tre preziosissimi istituti di democrazia diretta di San Marino, è fondamentale perché permette a tutti i cittadini di decidere senza mediazioni su un tema concreto. Ricordiamo che non andare a votare equivale in un certo senso a votare no, perché, per la validità del risultato, è necessario raggiungere un quorum (cioè una percentuale minima di votanti). A scanso di equivoci: trattandosi di referendum abrogativo, cioè che chiede se abolire o no determinati articoli di legge, votare no significa volere che le cose rimangano così come sono.
I quesiti che più interessano l’ATENEO sono quelli che riguardano l’abrogazione degli articoli 17 e 18, della legge 131 del 2005, sul precariato. Il direttivo ritiene che i giovani abbiano bisogno di certezze per il futuro, di un lavoro sicuro, stabile, che consenta loro di rendersi autonomi e formarsi una famiglia e che abbiano diritto di non doversi svegliare ogni mattina chiedendosi angosciati se il mese prossimo potranno guadagnarsi uno stipendio. Ovviamente nessuno pretende di avere un contratto a tempo indeterminato appena finiti gli studi, un periodo di impieghi flessibili è sicuramente utile per l’ingresso nel mondo del lavoro, ma non è possibile arrivare, come in Italia succede a molti, a 50 anni senza speranze di stabilità. I contratti co.co.pro. e il lavoro in affitto, su cui speculano le agenzie, non danno garanzie di riassunzione, non prevedono tredicesima, maternità, malattia né buona parte dei diritti dei lavoratori, conquistati con due secoli di dure lotte. La flessibilità, che il mercato del lavoro richiede, è conciliabile con le esigenze umane dei lavoratori solo qualora offra reali prospettive di stabilizzazione, possibilità d’ascesa professionale e favorisca la meritocrazia. Del resto esistono già, e nessuno li mette in discussione, contratti di lavoro in praticato a contenuto formativo, assunzioni in addestramento, contratti di inserimento lavorativo, lavori accessori e occasionali, contratti a tempo determinato, senza contare gli stages formativi e i tirocini.
Alcuni, tra cui i sindacati, sono contrari all’abrogazione degli articoli 17 e 18, perché prima che venissero promulgati diversi frontalieri erano sfruttati anarchicamente da agenzie e da alcuni imprenditori, senza possibilità di tutela legale o sindacale. La regolamentazione di questa prassi sbagliata e nociva è, a loro parere, un progresso, ma la rende giusta e benefica? L’autentico progresso non consiste forse nell’eliminarla finché è ancora un fenomeno circoscritto? O ci accorgeremo dei danni del precariato solo quando coinvolgeranno le vite di tutti?
Guardiamo all’esempio dell’Italia e non facciamoci ingannare dai numeri: da quando sono stati introdotti co.co.pro. e lavoro interinale i disoccupati sembrano diminuiti, ma nel novero dei non più disoccupati rientrano anche tutti quei precari che hanno un contratto per un mese o meno.
C’è chi propone di correggere i danni peggiori del precariato istituendo un sistema assistenziale, del tipo danese ad esempio, che garantisca un minimo mensile ai precari nei periodi di disoccupazione tra un impiego e l’altro. Ma perché pesare sulle casse dello stato, quando sarebbe possibile farne a meno? In fondo è un vantaggio anche per gli imprenditori assumere a tempo indeterminato dipendenti psicologicamente sereni e quindi più produttivi, che col tempo imparino tutti i meccanismi dell’azienda e ne abbiano a cuore il buon funzionamento. Quanto impegno sareste disposti ad investire in un lavoro che è vostro per qualche mese e di serie B, al paragone con quello dei vostri colleghi, garantiti da un contratto a tempo indeterminato? Forse il fatto più ingiusto del precariato è che nella medesima fabbrica o nel medesimo ufficio si trovano a svolgere le medesime mansioni due esseri ugualmente umani, ma uno è tutelato, l’altro poco meno che sfruttato.
Il direttivo ATENEO spera di aver fornito indicazioni utili perché ognuno si faccia una propria idea sulla questione e perché comprenda l’importanza di questo voto.

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