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lunedì 5 maggio 2008

Abolire il valore legale dei titoli di studio

Leonardo Raschi
Liberal Sammarinesi
liberal@omnimail.sm

Vorrei inserirmi nella querelle sui metodi per fare carriera nella Pubblica Amministrazione ovvero se il titolo di studio debba essere un requisito indispensabile per perseguire tale obiettivo. Premesso che non conosco il caso specifico in questione, quello che non mi torna è un principio che si vuole affermare, vale a dire che senza laurea è impossibile accedere ai massimi incarichi della funzione pubblica.
Per questo mi trovo completamente d’accordo con le tesi della sig.ra Silvia Della Balda illustrate egregiamente su queste pagine qualche giorno fa. Del resto quello di prendere le distanze dal valore assoluto di un titolo di studio è un modo di pensare che si sta affermando sempre di più laddove esiste la regola del riconoscimento giuridico di questi titoli. Anche in Italia sono sempre più coloro che ritengono il valore legale dei titoli di studio come un fatto anacronistico.

Questo non solo perché la formazione che offrono le Università italiane (per non parlare dei Licei) lascia sempre più a desiderare a fronte di uno scadimento ed un appiattimento verso il basso dei livelli di apprendimento che lascia allarmati. Sono sempre più infatti le Aziende che privilegiano il percorso di carriera a ragionieri piuttosto che laureati visto che i primi mostrano una duttilità e una capacità “appresa sul campo” corroborata da una robusta esperienza che il più delle volte fa la differenza.

Già perché l’esperienza, l’impegno ed il talento naturale dove li mettiamo? Oggi noi viviamo in una società del sapere ovvero dove non è più solo la scuola depositaria dello stesso ma lo sono vieppiù i giornali, la televisione per non parlare di internet. Si è calcolato che un laureato se non si aggiorna continuamente in cinque anni perde la metà di quello che ha imparato sui banchi di scuola. Ben vengano quindi carriere anche al di fuori dell’ambito universitario.

Quello che non si può accettare però è il fatto che ogni qualvolta ciò avviene questo debba essere valutato come un atto di clientelismo del politico di turno. Ci può anche essere il clientelismo, ma ci può essere anche un dipendente bravo che merita di fare carriera indipendentemente se questi possieda un titolo di studio o meno. Non si accettano apriorismi in questo campo. Se la Pubblica Amministrazione deve avvicinarsi sempre più a criteri di gestione di un’azienda privata ciò deve avvenire anche per quel che riguarda i percorsi di carriera.

1 commento:

  1. Lei Raschi ha tutte le ragioni, i suoi ragionamenti si dovrebbero applicare nella pratica per svecchiare questo paese vetero statalista.

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