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venerdì 2 maggio 2008

Meritocrazia o titolocrazia?

Silvia Della Balda (dipendente settore privato)

Alcuni giorni fa è stato dato ampio spazio dalla stampa locale a una polemica nata per la promozione a dirigente di un dipendente pubblico senza laurea, livello retributivo raggiungibile per titolo di studio.
Personalmente, al di là del caso specifico che non conosco, mi auguro che l’episodio apra una riflessione sulla carriera nella Pubblica Amministrazione e un ripensamento del sistema.
L’ingresso nella PA è visto come il raggiungimento di un obiettivo che non ha altri fini se non uno stipendio alto e assicurato, indipendentemente da come e quanto si produce, e un orario di lavoro che garantisce 2 soli pomeriggi di impegno, contro i 5 degli altri lavoratori.
Eppure la Pubblica Amministrazione è la più grande azienda del Paese, assorbe oltre il 90% della spesa pubblica: non dovrebbe essere, anche solo per quanto ci costa, simbolo di eccellenza e funzionalità nei servizi che è tenuta ad offrire ai cittadini e alle imprese? E come può farlo se la scelta dei dirigenti non è libera? Se ai dipendenti non viene concesso di lavorare per dimostrare quanto valgono e poter fare carriera, indipendentemente dal titolo di studio?
Conosco pubblici dipendenti validi ed esperti, che portano avanti alcuni uffici facendo anche quanto non fa il proprio dirigente, magari hanno ricoperto anche quel posto in vacanza di titolarità, ma non lo hanno potuto mantenere per mancanza del titolo di studio.
Credo che lavorare nella PA debba cominciare ad assumere un concetto diverso, debba poter significare l’inizio di un cammino di crescita e valorizzazione professionale che possa portare anche a promozioni.
Sinceramente mi scandalizza più la nomina a dirigente di un giovane, magari anche senza esperienza in materia o nella specifica mansione/funzione, basata sul solo titolo di studio, piuttosto che la nomina a dirigente di un dipendente già in ruolo, con doti, capacità e meriti personali provati e riconosciuti nell’espletamento del proprio lavoro.
Il sistema deve cambiare. La selettività, anche nella Pubblica Amministrazione, non può essere vista con sospetto, ma come opportunità di crescita professionale.
Si intende che do per scontata la maturità della nostra classe politica e il senso dello Stato di cui dovrebbe essere permeata.

4 commenti:

  1. sono perfettamente daccordo, bisogna improntare la crescita lavorativa sul merito delle persone e non sui pezzi di carta....l'esperienza, il giusto guizzo, l'arte del saper progredire la forza d'animo non si acquisiscono con la laurea...chiaramente è un in più che non guasta ma ci sono troppi pezzi di carta che valgono più delle persone e ciò è sbagliatissimo.....brava Silvia obbiettivo centrato

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  2. Il problema, cara Silvia, è la questione sociale. Cioè la funzione sociale che riveste la PA. Se non ci hai fatto caso, la PA è piena di disabili fisici (che spesso sono i migliori) e disabili mentali (che invece sono i più deleteri perchè costituiscono le classiche "mele marce"). I tre pomeriggi settimanali liberi permettono a molte donne di poter governare la casa e badare i figli senza dover ricorrere ad aiuti esterni. E' vero che nella PA ci sono molti abusi e disfunzioni, ma credo che anche l'imprenditore privato debba farsi carico almeno in pare di una funzione sociale che finora ha completamente delegato alla PA. eh, dopo non può lamentarsi più di tanto...

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  3. Silvia, le sue parole sono giuste e chiare. Per di più oggi come oggi un titolo si acquista ovunque mentre non averlo può anche rivelarsi un vantaggio di onestà e trasparenza. Conosco molti semplici diplomati che lavorano meglio di laureati imposti dal capo e del resto la società si poggia su donne e uomini e non sui laureati come concetto astratto. Anzi, i dirigenti PA con laurea dovrebbero tornare sui banchi di scuola come sostiene Raschi, in quanto oltre ad essere anziani dovrebbero riqualificare le rispettive professionalità a partire dalla conoscenza dei servizi da offrire ai cittadini. In qualità di responsabili dei vari settori dovrebbero guardarsi attorno fare un esame ai loro settori, fare uno sforzo per andare oltre alla burocrazia, magari semplicemente studiando le pratiche milgiori in Europa e in Italia, ci sono tante cose da imparare ancora... Non si finisce mai di imparare, ma questi avranno voglia o vogliono solo il lauto stipendio mensile, peraltro sproporzionato al rendimento e le ore lavorate?

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  4. Cari Amici, mi sono divertito ad assemblare le Vostre e altrui opinioni come in un puzzle ed è uscito fuori che:


    in Italia pare improvvisamente scoppiata la moda della meritocrazia, ne parlano tutti, oramai persino qualche sindacalista illuminato.
    Il buon Brunetta la definisce come base imprescindibile; la nuova capace Presidentessa dei giovani di Confindustria Federica Guidi nel Suo primo discorso a S. Margherita ha menzionato questa qualità ben oltre le venti volte; la valida Mercegaglia ricorre quasi giornalmente ad elencarla (televisione e quotidiani) come necessaria ed irrinunciabile virtù; i nostri politici, senza distinzione di colore, la elencano come punto cardine del futuro e quindi come una necessità inevitabile per uno stato moderno che sappia avvalersi dei propri talenti e delle proprie risorse umane, e poi scienziati, docenti, giornalisti e chi più ne ha più ne metta.
    Per non parlare poi di come e quanto venga elencata nel mio settore e cioè il turismo, che essendo in fase di stagnazione o addirittura in quella di declino per alcune regioni italiane e quindi più bisognoso dei ‘meritevoli’, si arrivi ad aggregarla anche a discorsi turistico/sociali e di aiuto umanitario; indicando l’inevitabilità d’esserlo per apparire brava gente. Mi risulta esattamente l’opposto; la brava gente è per forza degna e in particolare chi ha raggiunto meritocratamente notevoli posizioni in settori, anche se non prettamente politici, è chiaramente apprezzabile e quindi si suppone debba essere considerato.
    Personalmente, non potrei essere maggiormente d'accordo, se considero che questa è stata una delle ragioni della mia passata fuga dall'Italia; ma qui da noi?
    Nel nostro paese, permettetemi di dirlo cari amici, si tende soprattutto ad eliminare ed allontanare quelli che vengono considerati o solo ritenuti meritevoli poiché un domani potrebbero toglierti il ‘careghino’, senza calcolare che è fonte di grande intelligenza e anche benessere personale il saper individuare i soggetti migliori; vedi Montezemolo con Marchionne, Gianni Agnelli con Romiti, Berlusconi con Gianni Letta, vedi, vedi, vedi…per non parlare del troppo passato, Vi tedierei.
    Probabilmente questo avviene veramente ai massimi livelli, ma scendendo nella piramide organizzativa è sempre così ricercata la meritocrazia?
    Ma si sta veramente inseguendo, in verità, il modello di una società-governo migliore come descritto da Platone con la sua giusta e saggia meritocrazia, o forse sta diventando addirittura una parola abusata, irritante, retorica?
    Il successo, il prestigio, il potere si conseguono sempre ed esclusivamente in virtù delle doti, delle capacità, del curriculum e dei meriti personali?
    Già perché, poniamo il caso che la parola meritocrazia venga erroneamente usata per descrivere che il proprio stato sociale è raggiunto attraverso la competizione, e dove quindi il criterio di "merito" può di fatto sparire a fronte della furbizia (qualsiasi persona scaltra vive infatti molto meglio, si erge ed è più ascoltato di un forse più meritevole cittadino, ma non certo per pregio, solo per competizione); quindi forse è meglio essere scaltri o concorrenziali che meritevoli…e questo era facilmente comprensibile anche perché la cultura italiana è nel complesso scarsamente orientata alla meritocrazia e l’efficacia nella cultura cattolica tende ad essere posta più sui valori di comunità e di solidarietà che su quelli di individualità e di merito, che sono più vicini alla mentalità, ispirata dalla religiosità protestante, del mondo anglosassone.
    Ritengo che la questione del merito e della meritocrazia venga troppo spesso menzionata, elencata e affrontata con superficialità e soprattutto se applicata nella vita di tutti i giorni, che per quello che riguarda la mia breve esperienza in Italia e quella politica attuale, è una brutta parola che è meglio non dire.
    Non ne abbiano a male coloro i quali si intravedono arrivati, nella scalata o in prossimità della meta perché certe considerazioni spettano a noi, popolo della base, senza la quale niente si assesta stabilmente; è un nostro diritto migliorativo.
    Non ne abbiano a male quelli che si ritengono sprecati, inascoltati e a volte persino inutili o derisi, perché come spessissimo accade, la storia insegna e nel caso specifico ci tramanda che Winston Churchill fu un ottimo sostenitore della vera meritocrazia e così pure Ronald Reagan, presidente rimpianto da ogni buon repubblicano, fu di certo protagonista di questa svolta ideologica, e Galilei, Marconi… La compagnia è molto buona, ottima direi!
    Anche loro ebbero non poche difficoltà a valorizzarne il concetto ma tennero duro e al fin della licenza solitamente si tocca…la storia la sappiamo!
    Tutto questo unicamente per mia esperienza aziendale; a Voi quella politica!
    Con stima
    Luciano Ardoino

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